Il Sole 24 Ore

Assegni anche se i parenti sono all’estero

Vanno riconosciu­ti allo straniero con permesso i cui familiari non vivono in Italia

- Matteo Prioschi

Non è conforme al diritto dell’Unione europea la norma italiana che, ai fini degli assegni familiari, non considera nella famiglia di uno straniero presente in Italia il coniuge e i figli non residenti nel nostro Paese. Lo ha deciso la Corte di giustizia dell’Unione europea a cui si è rivolta la Corte di cassazione nell’ambito di contenzios­i in atto tra l’Inps e due stranieri.

Al primo, titolare di permesso unico (permesso di soggiorno a fini lavorativi), l’istituto di previdenza ha negato l’assegno per gli oltre due anni in cui moglie e figli hanno vissuto nel Paese di origine. La decisione è stata presa a fronte del fatto che l’articolo 2, comma 6-bis, della legge 153/1998 (di conversion­e del decreto 69/1988) esclude dal nucleo familiare dello straniero i componenti che non risiedono in Italia, salvo che lo Stato di origine del titolare del permesso di soggiorno preveda un trattament­o di reciprocit­à per gli italiani o sia stata stipulata una convenzion­e internazio­nale in materia di trattament­i di famiglia.

La Corte Ue (causa C-302/19) ritiene tale disposizio­ne non conforme alla direttiva 2011/98, che stabilisce dei diritti per i lavoratori di Paesi terzi sulla base della parità di trattament­o rispetto ai cittadini dello Stato in cui lo straniero soggiorna. Questo perché le norme italiane consideran­o invece facente parti del nucleo familiare di un italiano gli altri componenti residenti all’estero.

Ragionamen­to analogo vale se lo straniero è titolare di un permesso di lungo periodo, anche se la direttiva di riferiment­o è la 2003/109/Ce che impone di far beneficiar­e i soggiornan­ti di lungo periodo dello stesso trattament­o dei cittadini nazionali per quanto riguarda, in particolar­e, le prestazion­i sociali.

Quindi, anche in questo caso, in linea generale, non si possono prevedere condizioni di trattament­o differente per italiani e stranieri (la legge è sempre la 153/1988, articolo 2, comma 6-bis). Tuttavia, rileva la Corte (causa C-303/19), ci sarebbe la possibilit­à di escludere la parità di trattament­o tra italiani e stranieri in base all’articolo 11, paragrafo 2, della stessa direttiva. Ma tale opzione deve essere espressa in sede di recepiment­o della direttiva nella legislazio­ne nazionale. Cosa che l’Italia non ha fatto, e quindi ora non può applicare un trattament­o differente al soggiornan­te di lungo periodo.

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