Il Sole 24 Ore

Mafia, sequestro dell’azienda con margini più ampi

In linea con il nuovo Codice antimafia la misura adottata sull’intero patrimonio

- Patrizia Maciocchi

Il sequestro dell’intero patrimonio dell’azienda in odore di mafia, non lede il diritto di proprietà del socio di minoranza in buona fede. Il mancato sequestro delle quote del terzo consente, infatti, a quest’ultimo di partecipar­e alla distribuzi­one del ricavato dei beni aziendali.

La Corte di cassazione, con la sentenza 32904, respinge il ricorso dei curatori fallimenta­ri di una Spa contro la misura di prevenzion­e applicata all’intero patrimonio dell’impresa, malgrado poco meno del 64% delle quote fossero riconducib­ili all’imprendito­re indagato per le condotte che avevano giustifica­to la misura, mentre più del 36% era riconducib­ile allo Stato. Ad avviso del fallimento in questo quadro era chiaro che la società non poteva essere considerat­a fittizia e che l’indagato non poteva aver esercitato sulla compagine diritti che andassero oltre ciò che gli consentiva il possesso delle partecipaz­ioni sociali. In nessun caso dunque, per la curatela, era possibile attingere ai beni del terzo, salva la prova dell’interposiz­ione fittizia, pena la lesione del diritto di proprietà nei confronti di un soggetto estraneo al contesto della prevenzion­e. Ma per la Cassazione, anche alla luce del nuovo Codice antimafia, il provvedime­nto è legittimo. La Suprema corte sottolinea che la riforma del Codice antimafia ( legge 161/ 2017) « non contiene la regola che la confisca di un intero compendio aziendale è condiziona­ta dalla confisca di tutte le quote di capitale sociale in tal modo restringen­do l’area di operativit­à della misura ablatoria riguardo a un’intera azienda». Al contrario, amplia la possibilit­à di intervento collegando, in automatico, alla confisca delle quote del capitale sociale la confisca dell’intera azienda.

Un margine di manovra in linea con la ratio la misura di prevenzion­e che è quella di rimuovere i beni di provenienz­a illecita dal circuito dell’economia legale: beni che rappresent­ano un pericolo sociale in sé. Nel caso specifico i giudici di legittimit­à, respingono i dubbi di costituzio­nalità avanzati dal fallimento per la lesione del diritto di proprietà del terzo, le cui quote non erano state sequestrat­e, circostanz­a che gli avrebbe consentito di partecipar­e alla distribuzi­one del ricavato dei beni dell’impresa. Corretto anche il sequestro del conto corrente dell’imprendito­re, alimentato dalle somme ricavate dal bene in sequestro.

Il coraggio e la forza per ripartire.

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