Analytics, con il Covid cresce il divario tra le aziende
C’è un paradosso, legato a questa pandemia, che caratterizza fortemente il mondo dei dati. Se da una parte, proprio l'emergenza sanitaria ci ha sbattuto in faccia l'importanza di valorizzare i dati per prendere decisioni più rapidamente, dall'altra ha rallentato il mercato analytics, obbligando molte imprese a ripensare i piani di investimento. L’ultima fotografia arriva dall'Osservatorio Big Data & Business Analytics del Politecnico di Milano, e dai numeri del nuovo report sul 2020. Un report che racconta come proprio il Coronavirus abbia impattato il mondo dei dati allargando il divario fra le aziende mature, che hanno razionalizzato gli investimenti riuscendo a reinventare o accelerare la strategia data-driven, e quelle più tradizionali, che hanno interrotto o posticipato gli investimenti. Un analytics divide che preoccupa.
Il risultato è un rallentamento della crescita del mercato Analytics, che nel 2020 in Italia raggiunge 1,815 miliardi di euro, mostrando un + 6% rispetto allo scorso anno. Una crescita esigua, dopo il + 23% registrato nel 2018 e il +26% nel 2019. Più nel dettaglio, la maggior parte della spesa si concentra sui software ( 52%, + 16% rispetto al 2019), in particolare per Artificial Intelligence e le Data Science Platform.
Nonostante il rallentamento e le difficoltà legate alla pandemia, il 96% delle grandi imprese prosegue a compiere attività per migliorare la raccolta e valorizzazione dei dati e il 42% si è mosso, in termini di sperimentazioni e competenze, in ambito Advanced Analytics. Tra le Pmi invece il 62% ha in corso qualche attività di analisi dati, di cui il 38% avanzate. Una su due ha compiuto degli investimenti in quest'ambito nell'ultimo anno. Si tratta tuttavia di investimenti molto limitati, che difficilmente superano un approccio a silos nella gestione dei dati.
«Si assiste a un ampliamento del gap tra le aziende mature nella gestione e analisi dei dati e quelle in ritardo. - ha spiegato il responsabile scientifico dell'Osservatorio, Carlo Vercellis - In un contesto di grande incertezza, infatti, quelle mature hanno mostrato maggiore capacità di fornire risposte ai nuovi interrogativi, aumentando le risorse di Data Science, ripensando modelli predittivi e di ottimizzazione».
La pandemia, secondo Alessandro Piva, responsabile della ricerca dell'Osservatorio milanese, « ha portato a ripensare alcune attività di analisi dei dati, ponendo maggior attenzione all'efficienza, alla presenza di competenze interne e alla governance dei dati e della Data Science. Il Covid è stato uno stress test: mentre le aziende più immature hanno visto una riduzione dell'interesse al tema, quelle orientate all'approccio data-driven hanno saputo reinventarsi» reinventarsi » .
Un altro aspetto negativo della pandemia si è abbattuto sulla diffusione di alcune figure professionali, che oggi fanno più fatica a crescere. Nel 2020, infatti, rimane stabile la percentuale di imprese che ha inserito un data analyst ( 76%) o un data scientist ( 49%), a conferma della difficoltà delle organizzazioni in ritardo di trovare o formare competenze interni su questi ambiti. Una nuova figura emergente, però, sta trovando spazio: è quella dell'analytics translator, profilo intermedio fra il team di Data Science e le figure di business, che comprende le esigenze di business traducendole in termini analitici e interpreta i risultati delle analisi svolte. Il 30% delle grandi aziende ne ha già inserito o formato almeno uno e l'8% lo farà entro il 2021.
L'emergenza sanitaria ha ridotto risorse e competenze nelle Pmi ma non ne ha interrotto il percorso di avvicinamento ai big data analytics avviato nel 2019. Nel 2020 – secondo i dati dell'Osservatorio - una Pmi su due ha investito in ambito analisi dei dati o prevede di farlo entro la fine dell'anno e l' 8% ha dovuto bloccare investimenti già programmati a seguito dell'emergenza.