ORACOLI TECNOLOGICI ALLA PROVA DELL’EQUITÀ
Sono anni che nel diritto del lavoro italiano risuona un mantra: dobbiamo fare i conti con le nuove tecnologie, il digitale, l’intelligenza artificiale. Ci siamo, i conti li stiamo facendo. Nelle ultime settimane chi segue la materia avrà notato che nel diritto positivo hanno fatto ingresso due nuove tecnologie in grado di influenzare regole cruciali sia per i contratti individuali di lavoro sia per quelli collettivi.
La prima riguarda le forme con cui si stipulano i contratti. Un aspetto non al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica, ma di estrema rilevanza pratica. Basti dire che la forma – orale, scritta, certificata, ecc. – può influenzare la qualificazione giuridica del rapporto e determinare l’applicazione di un certa legislazione di tutela, dei contratti collettivi e, persino, del giudice competente per eventuali controversie. Il diritto del lavoro è informato al principio della libertà della forma contrattuale: cosicché, specie se non ci discosta dallo standard, si può assumere un lavoratore anche oralmente. A ben guardare però ciò comporta che, per definire le tutele applicabili, è sempre stato più importante il modo in cui si è eseguita la prestazione lavorativa rispetto al tipo contrattuale scelto dalle parti. Con conseguente dilatazione del ruolo del giudice in caso di controversie. Per questo motivo la forma scritta o certificata del contratto è stata sempre più valorizzata dal legislatore, con rischi di irrigidimenti, ingessature o mistificazioni. In effetti è molto importante non cristallizzare diritti e doveri del lavoratore al momento della stipulazione del contratto, dando adeguato spazio alla realtà gestionale. E, nei casi di storie lavorative non lineari, in passato poche erano le alternative alla verità ricostruita ex post dal giudice. Da un paio d’anni è possibile utilizzare lo smart contract, previsto dall’art. 8-ter del d.l. 135/18 conv. con l. 12/2019, cioè un contratto collegato a una blockchain, un registro elettronico che può evolversi dinamicamente, fornendo continue informazioni e adattamenti relativi al regolamento contrattuale. Si possono coinvolgere terzi imparziali, detti “oracoli”, «che forniscono informazioni fondamentali per l’intelligenza dei contratti, spesso grazie a fonti esterne, verificando e autenticando le fonti stesse» (De Giovanni, Il Sole 24 Ore del 13 ottobre).
L’altra novità è contenuta nell’art. 16 quater del decreto semplificazione 76/20 che prevede che nelle comunicazioni obbligatorie e nelle trasmissioni mensili cui sono tenute le imprese verso Direzioni regionali e provinciali del lavoro, Inps e Inail, il dato relativo al contratto collettivo sia indicato mediante un codice alfanumerico, unico per tutte le amministrazioni. Il codice viene attribuito dal Cnel al momento dell’acquisizione nel proprio archivio di ciascun contratto collettivo. Questa norma consentirà di dar vita a una banca dati aggiornata con cui verificare quali sono i contratti collettivi più applicati dalle imprese. Com’è noto, da una decina d’anni il numero di contratti collettivi nazionali esistenti nel nostro Paese è aumentato a dismisura (sono circa 900). Nella disordinata legislazione in materia questi contratti danno luogo a un dumping a danno dei lavoratori e delle imprese più virtuose, mettendo in discussione la stessa funzione dei contratti nazionali. Per ovviare a questo occorrerebbe dare attuazione all’art. 39 Cost. con una legge che, disciplinando le modalità per accertare la rappresentatività delle organizzazioni sindacali datoriali e dei lavoratori, prevedesse un unico contratto collettivo nazionale per ciascuna categoria. Mancando coraggio politico e consenso sociale, si è sempre andati avanti con formule più o meno ambigue per garantire una certa compattezza dei sindacati o, almeno, la selezione dei contratti più “affidabili”. L’ultima formula di successo – coniata dal Cnel, sotto la presidenza di Tiziano Treu – è quella del “contratto leader”, cioè il contratto “migliore” tra quelli esistenti, da far prevalere su tutti gli altri. L’inserimento del codice alfanumerico consentirebbe di accertare qual è il contratto leader nella realtà applicativa di ciascuna categoria.
Dinanzi a queste novità, il giuslavorista non può che favorire l’aggiornamento di regole e prassi gestionali. Però deve sviluppare anche una capacità di vigilanza e critica all’altezza della sfida tecnologica. Oracoli e codici alfanumerici sono nuovi potenti strumenti per risolvere problemi antichi. Però non bastano le formule e nemmeno le tecnologie. Occorre guardare quali assetti esse determinano nelle realtà sociali e umane. E allora occorre avere ben chiaro come possono essere configurati gli “oracoli” nelle blockchain per garantire competenza ed equità. E chiarire che il contratto leader che ci indicheranno i codici alfanumerici non è quello stipulato dai migliori attori sociali, ma solo quello preferito dalle miriadi di imprese. In definitiva, come ci ha insegnato anche la pandemia, le tecnologie sono alleate potenti per affrontare i problemi più insolubili, ma la qualità delle soluzioni dipende sempre dagli esseri umani che progettano e usano quelle tecnologie.
Università di Napoli Federico II
IL DIRITTO DEL LAVORO STA IMPARANDO A MISURARSI CON BLOCKCHAIN E BANCHE DATI