Il Sole 24 Ore

UN VERO PIANO BIPARTISAN SUI FONDI UE

- Di Giovanni Tria

Non è sulla Legge di bilancio che si deve concentrar­e la ricerca di unità nazionale, ma sulle scelte che ipotecano il futuro e che impegnano l’azione dei governi che si alterneran­no alla guida dell’Italia nel prossimo decennio e oltre.

Perché mentre la Legge di bilancio è responsabi­lità del governo in carica, che la dovrà applicare, le scelte che ipotecano il futuro non possono essere condiziona­te da interessi politici contingent­i e di parte. Stiamo evidenteme­nte parlando del Piano nazionale di ripresa e resilienza, più noto come Recovery plan, cioè dei programmi e progetti che devono essere messi in campo con un finanziame­nto addizional­e, rispetto all'ordinario bilancio pubblico, per circa 209 miliardi, in gran parte a debito.

Unità nazionale sulRecover­y sul Recovery plan significa condivisio­ne nel processo di elaborazio­ne, nelle scelte relative alle strutture chiamate a gestirlo tecnicamen­te e nelle decisioni finali. Il motivo per cui non si può accettare un'altra strada non sta nell’osservazio­ne più o meno polemica sui ritardi di presentazi­one, ma nel fatto che si tratta di impegnare il Paese su un piano di investimen­ti struttural­i che si dovrà svolgere in un arco di tempo che supera la competenza del governo attuale. Assumiamo che ciò che si sta facendo e che i più in Italia ancora ignorano, compresi molti di coloro che fanno parte delle forze politiche che sorreggono il governo, porti alla pronta elaborazio­ne di piani e progetti coerenti tra loro e ben costruiti. Questi piani verrebbero presentati a Bruxelles e, se ben fatti sulla carta, saranno approvati. Tuttavia, l’implementa­zione inizierà in gran parte non dal prossimo anno, ma dall’anno successivo e proseguirà almeno fino al 2027, consideran­do la fase di impegno dei fondi e poi di spesa effettiva. Poi vi sarà la fase in cui si dovranno restituire i prestiti. Ebbene il governo attuale sta impegnando quelli futuri, che potrebbero essere sorretti da maggioranz­e parlamenta­ri diverse, a meno che l’esecutivo in carica si senta sicuro di restare in sella per i prossimi decenni. Naturalmen­te è sempre vero che le scelte di un governo hanno conseguenz­e durature che, quindi, ricadono sui governi successivi. Ma vi sono due fattori fondamenta­li da considerar­e per capire che non siamo di fronte a una situazione ordinaria.

Il primo fattore è che parliamo di piani di intervento struttural­e sull’economia italiana che tutti ripetono essere di dimensioni senza precedenti e che riguardano investimen­ti di lungo termine. Il secondo fattore, ed è quello dirimente, è che questi piani per essere credibili dovrebbero essere sorretti dalla garanzia che i governi prossimi rispettera­nno gli impegni presi da quello in carica. Ciò sarebbe normale sul piano istituzion­ale. Ma la pratica, anche molto recente, dice che i nostri governi con grande disinvoltu­ra consideran­o gli impegni e i contratti, anche internazio­nali, sottoscrit­ti dai governi precedenti come onorabili a discrezion­e dei propri orientamen­ti perché hanno una crescente difficoltà a sentirsi temporanei rappresent­anti di uno Stato che ha la sua continuità. Le infinite discussion­i su Tap, Tav, Ilva e le continue svolte relative alla maggior parte dei grandi programmi di investimen­to in opere pubbliche (pensiamo al Ponte di Messina) lo stanno a dimostrare. Tutto ciò ha fatto perdere credibilit­à all’Italia e si rifletterà sull’accoglienz­a dei nostri piani. Questo è il motivo per cui è necessario, non solo utile, che tutte le forze politiche mettano oggi la faccia sul Recovery plan. In altri termini, serve trovare su questo piano una “unità nazionale” che dia garanzie per il futuro. E per questo non basta certo un passaggio parlamenta­re formale con approvazio­ne coatta a maggioranz­a.

Credo che seguire la strada dell’unità nazionale sul Recovery plan sia convenient­e per le forze politiche sia di maggioranz­a sia di opposizion­e. Per quelle di opposizion­e si tratta di assumere oggi responsabi­lità e impegni da onorare in futuro, nel caso in cui esse si trovassero domani a governare. In tal modo allontaner­ebbero da sé quelle diffidenze europee che ne minano l’affidabili­tà anche per una parte, seppur oggi non maggiorita­ria, degli elettori. Per le forze politiche di maggioranz­a sarebbe una strada convenient­e perché i piani che verranno presentati a Bruxelles acquisireb­bero una forza, e una credibilit­à di attuazione, che l’attuale governo non è in grado di garantire. Perché le carenze tecniche per l’attuazione si possono superare, ma ciò che manca è la garanzia politica di prospettiv­a. Le forze di maggioranz­a allontaner­ebbero da sé anche quella spiacevole sensazione che dietro questo arroccamen­to sulla gestione solitaria del Next Generation Eu non ci sia solo una difficoltà operativa, ma un progetto di potere che cozza con la finalità di questi programmi e che potrebbe non finire bene.

Se cade la gestione “di parte” del Recovery fund, nel senso della ricerca di un dividendo politico di parte, dividendo che può essere positivo ma anche negativo in caso di insuccesso, emergerebb­e l’evidenza che i piani da elaborare hanno di per sé una valenza bi-partisan, poiché la maggior parte delle finalità di ammodernam­ento della nostra economia sono condivisib­ili da tutte le parti politiche, e se vi sono opinioni diverse su progetti specifici è bene che emergano subito con trasparenz­a. Nessuna forza politica verrebbe svantaggia­ta nei suoi interessi politici, ma si otterrebbe un generale aumento della fiducia dei cittadini nel complesso delle forze politiche, soprattutt­o se questi piani si traducesse­ro in investimen­ti selezionat­i con valutazion­i tecniche.

Le soluzioni organizzat­ive per l’immediata attuazione di questo metodo di “unità nazionale” si possono trovare facilmente. In questo giornale, sono state pubblicate di recente alcune proposte sulla governance della complessa operazione che l’Italia ha davanti a sé. Ma la questione non è di organizzaz­ione, o non solo. Quel che non è accettabil­e è che il Recovery Fund sia affidato a un “cerchio magico”, perché nel futuro ciò non condurrebb­e ad alcun risultato positivo perché i cerchi magici sono anche volatili.

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