La finanza lancia la sfida sostenibilità
In Italia sono poco più di 200 le società che hanno elaborato la dichiarazione non finanziaria (Dnf), rendicontazione resa obbligatoria per le aziende quotate con più di 500 dipendenti. Soltanto nove le Dnf volontarie
Sostenibilità. È la parola più usata, e a volte abusata, in finanza ed economia nell’ultimo anno. È una parola che, almeno in Europa, a breve verrà declinata in norme e regolamenti per gestori di fondi, consulenti e aziende.
Partiamo da quest’ultime: in Italia sono poco più di 200 le aziende che hanno elaborato la dichiarazione non finanziaria ( Dnf), rendicontazione resa obbligatoria per le aziende quotate che hanno più di 500 dipendenti ( lo stesso anche per le banche e le assicurazioni non quotate).
Sono soltanto nove le Dnf “volontarie”, tanto che la Consob ha lanciato una consultazione per capire in che modo si possono incentivare le aziende a elaborare questo tipo di rendicontazione. « Il rischio – è stato fatto intendere in più sedi dai funzionari delle authority – è che le aziende italiane senza Dichiarazione non finanziari perdano l’opportunità di entrare nei portafogli degli investitori istituzionali italiani e stranieri » .
I timori della Consob
Le preoccupazioni della Consob sono fondate. Grandi fondi italiani fanno addirittura la due diligence della sostenibilità dell’azienda in cui vanno a investire: sono fondi di private equity e private debt, quindi siamo in ambito di società non quotate.
Fissazioni dei gestori? No. Tutt’altro. Ci sono le banche centrali che mettono in guardia dal rischio climatico per esempio e non parlilamo dell’europea Bce, notoriamente molto sensibile ai temi sostenibili. Riportiamo invece un passaggio dell’ultimo « Rapporto sulla stabilità finanziaria » della Federal Reserve, la banca centrale americana: il cambiamento climatico « aumenta la probabilità di sconvolgimenti nell’economia» ed «è probabile che aumenti gli shock finanziari e le vulnerabilità del sistema finanziario che potrebbero amplificare ulteriormente questi shock » . Inoltre, la Federal Reserve prevede che tali rischi possano concretizzarsi nel breve termine.
Gestori e consulenti
Ecco allora la necessità per i fondi comuni, e anche i fondi pensione, di verificare se il business di un’azienda sia sostenibile, ovvero se siano stati presi in considerazioni tutti i rischi racchiusi nella sigla Esg ( ambiente, sociale, governance). Comprensibili le richieste dei gestori nei confronti delle aziende: il regolamento europeo 2019/2088, li obbliga infatti entro il 10 marzo prossimo a dare conto di come hanno selezionato gli investimenti sostenibili; e tali informazioni dovranno essere messe in trasparenza sui siti web delle società di gestione e nella documentazione precontrattuale. Si passa dunque dalle chiacchiere green ai documenti. E infatti c’è gran fermento in questi giorni soprattutto negli studi legali che stanno spiegando la normativa alle società di gestione del risparmio ( Sgr): stavolta infatti la sostenibilità finisce nei documenti e gli investitori, grandi e piccoli, ne chiederanno conto.
Tassonomia e green
C’è infine da ricordare uno snodo chiave della finanza green: la tassonomia ovvero la classificazione europea delle attività sostenibili. Il documento è stato approvato dal Parlamento europeo il 18 giugno scorso. Si attendono entro fine anno però gli atti delegati, documenti operativi della Commissione europea che dovranno indicare i criteri di selezione delle attività sostenibili. Ad aiutare in questo lavoro la Commissione c’è la Platform on Sustainable Finance, gruppo di 50 esperti che ha preso il posto di coloro che avevano elaborato l’Action Plan. Il lavoro di coordinamento e di sintesi sarà invece realizzato dalla Direzione generale per la stabilità finanziaria, i servizi finanziari e l’Unione dei mercati dei capitali (cosiddetta Dg Fisma). Quando tutto il quadro normativo europeo sarà chiaro (verrà concesso un anno per l’applicazione), chi proporrà investimenti sostenibili dovrà a quel punto segnalare la percentuale di allineamento alla tassonomia del proprio portafoglio investito.
Assicurazioni in prima linea
C’è dunque all’orizzonte un grande lavoro da fare per la formazione di aziende, gestori, consulenti, commercialisti. Bisognerà soprattutto far capire che oltre agli obblighi normativi ci sono grandi opportunità per le società, grandi e piccole, che abbracceranno in modo consapevole la sostenibilità.
Fra quelle che per prime hanno capito la necessità di tale passaggio, sono state le compagnie assicurative. C’è proprio una data che segna la presa di coscienza del settore: il 29 settembre 2015. Cinque anni fa, l’allora presidente del Financial Stability Board e governatore della Banca d’Inghilterra, Mark Carney, tenne un discorso davanti ai Lloyds di Londra dal titolo “Tragedy of Horizon”. In quell’intervento veniva messo in guardia il mondo della finanza, e nello specifico, delle assicurazioni sulle conseguenze del rischio climatico.
Carney all’epoca venne definito dalla City londinese come una sorta di Cassandra ma il suo messaggio venne subito colto da molte compagnie assicurative. Scelta opportuna visti i mega-risarcimenti pagati negli anni successivi a causa dei grandi incendi in California, Portogallo, Australia. Senza dimenticare alluvioni e altri disastri provocati dal cambiamento climatico. Fa ben sperare ora l’effetto Biden: il nuovo presidente degli Stati Uniti ha promesso 1.700 miliardi di dollari in dieci anni per le infrastrutture sostenibili oltre al raggiungimento nel 2050 di emissioni zero sul versante gas serra, come già annunciato dall’Europa. Vedremo gli sviluppi nei prossimi mesi.
C’è un grande lavoro da fare per la formazione di imprese, gestori, consulenti, commercialisti