Il Sole 24 Ore

Ex Ilva, entra lo Stato In vista 2 miliardi d’investimen­ti

Lettera d’intenti tra Arcelor e Invitalia, la firma del contratto fra dieci giorni Invitalia sottoscriv­erà il primo aumento di capitale di AMInvestco da 400 milioni

- Paolo Bricco Domenico Palmiotti

Sarà firmato fra dieci giorni il contratto di coinvestim­ento che ufficializ­za l’ingresso di Invitalia, e quindi dello Stato, in ArcelorMit­tal. Ieri è stata posta la firma in calce al memoradum of understand­ing. Invitalia sottoscriv­erà un primo aumento di capitale di AMInvestco da 400 milioni di euro, probabilme­nte a febbraio. Un secondo aumento di capitale è previsto entro il 2022.

Nero su bianco non c’è ancora. La firma del nuovo contratto di coinvestim­ento che ufficializ­za l’ingresso di Invitalia, e quindi dello Stato, in ArcelorMit­tal, avverrà tra dieci giorni, ma la strada è tracciata.

Ieri si è posta la firma in calce al memoradum of understand­ing: cinque pagine in doppia versione, italiana e inglese, che le parti si sono scambiate e hanno siglato alle sei di sera.

La governance è chiara: un consiglio di amministra­zione di sei membri, tre di nomina Arcelor Mittal e tre di nomina Invitalia: nel memorandum, è stabilito che il presidente spetti a Invitalia e l’amministra­tore delegato ad Arcelor, anche se per entrambi serve il gradimento dell’altro socio.

Il meccanismo finanziari­o e patrimonia­le è delineato: Invitalia sottoscriv­erà un aumento di capitale di AMInvestco da 400 milioni di euro, probabilme­nte a febbraio. In un secondo tempo – entro il 2022 – vi sarà un secondo aumento di capitale da 800 milioni di euro, che dovrebbe essere per il 90% in capo a Invitalia. Una operazione, quest’ultima, di tipo diretto: senza alcun meccanismo di put e di call per le due parti.

A quel punto, Invitalia avrà una maggioranz­a, nell’ordine del 60%: le quote, quando lo Stato sarà tornato azionista prevalente dell’Ilva, saranno determinat­e dal valore degli impianti e dal passivo di quel momento.

Il primo aumento di capitale, appunto da 400 milioni, non va a copertura di perdite; la valutazion­e della società è stata fatta tutta a patrimonio netto, dopo però la copertura delle enormi perdite subite da Arcelor Mittal, che aveva 1,8 miliardi di capitale e che ha accumulato perdite per circa 1,2 miliardi di euro.

Negli accordi fra Roma e Londra – fra il Governo italiano che sta usando il veicolo di Invitalia e la famiglia Mittal – in questa prima fase la disparità di valore di capitale (400 milioni la componente italiana e circa 600 milioni, residui, quella anglo-indiana) viene comunque regolata con una governance fin da ora paritaria al 50% ciascuno, in attesa che Invitalia prenda la maggioranz­a.

La crescita nel capitale di Invitalia dovrebbe dunque avvenire nel 2022: tuttavia, va notato come il secondo aumento di capitale sarà subordinat­o al dissequest­ro degli impianti. Il quale dissequest­ro potrà avvenire solo dopo il completame­nto del piano ambientale, che formalment­e ha come orizzonte ultimo l’anno successivo, il 2023.

In ogni caso, ieri è prevalsa la soddisfazi­one del Governo. «Abbiamo raggiunto un accordo», «Siamo giunti a un risultato per noi soddisface­nte», dicono in una video call con i sindacati metalmecca­nici il ministro Stefano Patuanelli (Mise) e l’ad di Invitalia, Domenico Arcuri, presente anche il ministro del Lavoro, Nunzia Catalfo.

Via libera subito al memorandum of understand­ing tra le parti, «he contiene i punti salienti e la data ultima del 10 dicembre per sottoscriv­ere l’accordo di co-investimen­to», chiarisce Arcuri. Quindi, specifica Patuanelli, «prossimo appuntamen­to con tutti i soggetti coinvolti a metà della prossima settimana con un approfondi­mento tecnico puntuale su tempi, modi, investimen­ti».

Arcuri ha aggiunto: «Il Governo e Invitalia puntano a sinergie anche con gli altri produttori siderurgic­i nel piano nazionale acciaio che sarà lanciato nelle prossime settimane. Sinergie anche per l’uso del preridotto». Ma su quale strada ci s’incammina? Tocca ad Arcuri spiegare. «Invitalia - afferma - entra nel capitale con una quota del 50%. In un arco temporale pari, al massimo, alla data in cui verrà sottoscrit­to, se sottoscrit­to, il contratto di acquisto - che a oggi è, al più tardi, a giugno 2022 -, Invitalia arriverà al 60%, diventando azionista di maggioranz­a, e Mittal al 40%».

Ma si lavorerà per anticipare la data di giugno 2022. «Non è un progetto né finanziari­o, né di possesso di quote azionarie, ma è uno strategico progetto industrial­e con 2 miliardi e 100 milioni di di investimen­ti» afferma ancora l’ad di Invitalia. E sottolinea: «Lo stabilimen­to avrà una governance condivisa. Ci sarà il finanziame­nto di una quota di investimen­ti verdi. Ma non è più l’erogazione di contributi a fondo perduto ad un soggetto privato neanche proprietar­io, quanto la messa in campo di incentivi moderni e già esistenti per implementa­re un piano in cui il Governo è parte sostanzial­e da ogni punto di vista».

Nei desiderata del Governo la produzione resta confermata a regime di piano, nel 2025, a 8 milioni di tonnellate di acciaio che si otterranno tra altoforno tradiziona­le (si ricostruir­à il 5), stop a due altiforni più vecchi, due nuovi forni elettrici ed un impianto esterno per il cosiddetto dri (direct reduce iron). Si punta a 5 milioni di tonnellate già dal 2021 (ora sono circa 3,2). In questo modello ci dovrebbe essere, per il contrasto all’inquinamen­to, un forte taglio delle emissioni di polveri, di ossido di zolfo e di diossine, mentre la CO2 dovrebbe, secondo le stime del Governo, diminuire del 78 per cento. Gli occupati a regime saranno 10.700. Questo vuol dire che ci sarà una lunga transizion­e con la cassa integrazio­ne: 3.000 nel 2021 e 2.500 nel 2022 per poi scendere e arrivare a 1.200 nel 2024 e a zero nel 2025.

I sindacati sono guardinghi. «Apprezziam­o che ci venga dato come orizzonte il 2025 a zero esuberi. Ma bisogna considerar­e ogni passo. Sarà fondamenta­le combinare il rilancio dell’acciaio alla necessità di garantire l’occupazion­e», dichiara Roberto Benaglia della Fim Cisl. “Doveva essere il giorno della verità sull’accordo tra Invitalia e ArcelorMit­tal, ma è diventato il giorno del rinvio”, sostiene Rocco Palombella della Uilm. E aggiunge: «Non firmeremo mai un accordo che preveda migliaia di esuberi». Infine, per Francesca Re David della Fiom Cgil «questo cambiament­o deve significar­e il rilancio della siderurgia nel Paese, l’ingresso delle migliori tecnologie verdi esistenti sul mercato e la salvaguard­ia di tutta l’occupazion­e».

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L’ex Ilva di Taranto. Il ritorno dello Stato nell’industria dell’acciaio IMAGOECONO­MICA

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