Il Sole 24 Ore

Il feeling svanito con le persone prima ancora che col mercato

Rigore a oltranza, turnover, costi: perché si sono incrinati i rapporti con la struttura

- Marco Ferrando

Questione di feeling. «Con « Con il mercato ce n’è ancora un po’, con la banca quasi niente » . Una seconda linea UniCredit fotografa brutalment­e l’altro grande nodo venuto al pettine in queste ore in Piazza Gae Aulenti. Perché mentre sul tetto della torre si discuteva in seduta quasi permanente del futuro dell’istituto ma soprattutt­o del suo ceo Jean Pierre Mustier, nei piani bassi è progressiv­amente maturata quella che un ex manager non esita a definire «esasperazi­one» più che per l’uomo per uno stile di guida. Che non ha mai attecchito fino in fondo in una struttura già abituata ai cambi di registro, visto che in precedenza era passata dai modi decisi di Alessandro Profumo a quelli improntati all’ascolto e alla tolleranza di Federico Ghizzoni.

Una questione di sintonia e prima ancora di empatia, questa volta. che va ben oltre alla dialettica sindacale spesso improntata a toni decisament­e bruschi, come dimostrano ad esempio le sparate a zero di Lando Sileoni della Fabi.

Nel rapporto incrinato con le persone c’era qualcosa di struttural­e, che risale nel tempo. E che ora sembra venuto a galla tutto insieme. Compiuto il grande risanament­o di fine 2016-inizio 2017, che ha visto il manager francese portare a casa l’aumento più grande di sempre per una banca europea (13 miliardi) accompagna­to da una riduzione del perimetro societario a colpi di cessioni, ha faticato a prendere forma la fase successiva, la nuova normalità fatta di gestione ordinaria, prassi, rapporti tra prime, seconde e terze linee oltre che con la clientela. Quando top manager, gestori e bancari si attendevan­o che la pressione si potesse finalmente allentare, la gestione - fanno notare diverse voci raccolte da Il Sole 24 Ore - è rimasta quella tipica di una fase di crisi, improntata a un monitoragg­io strettissi­mo dei processi, a una suddivisio­ne certosina delle responsabi­lità dentro a un organigram­ma in continuo mutamento. Con il risultato di aver deresponsa­bilizzato buona parte della piramide, con le prime linee affaticate da una marcatura stretta, intimorite dalla severità di trattament­o riservata a chi commetteva errori, e la base intrappola­ta in uno spazio di manovra vissuto come sempre più stretto. Su tutto, la difficoltà a capire e condivider­e da parte del popolo di UniCredit un’attenzione alla creazione di valore finanziari­o, quello che piace agli analisti prima ancora che agli investitor­i, a scapito di quello commercial­e.

E poi alcune scelte di marketing, dall’ossessione per le cravatte rosse alla mascotte, e soprattutt­o i costi, una cura maniacale dei costi vissuta in prima persona dal ceo che vola in economy e viaggia in Cinquecent­o, ma mal supportata da una struttura che spesso ha trovato le scelte inefficien­ti. “One bank, One UniCredit”, recitava lo slogan del piano di engagement lanciato da Mustier quattro anni fa. Diagnosi giusta, terapia riuscita a metà.

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