Il Sole 24 Ore

Il Nord paga il prezzo più alto di pandemia e lockdown

Lombardia, Veneto, Emilia Romagna in testa per contributi già erogati

- M. Mo. G. Par.

Mentre parte la caccia a furbi e disonesti, il flusso di bonifici accreditat­i sui conti correnti delle partite Iva in crisi ha già raggiunto gli 8,2 miliardi consideran­do la somma del fondo perduto della scorsa estate e gli aiuti legati al primo decreto ristori. All’appello mancano ancora i circa tre miliardi dei decreti Ristori 2 e 3. Ma i dati sui pagamenti dell’agenzia delle Entrate consentono di vedere in controluce quanto abbiano inciso la pandemia e i lockdown in termini economici. Anche perché il parametro base usato come riferiment­o è il calo del fatturato e dei corrispett­ivi registrato ad aprile 2020 rispetto ad aprile 2019. Naturalmen­te non può che essere una fotografia solo parziale della reale difficoltà in cui versano tantissime attività, tra cui alcune non raggiunte ancora da alcuna forma di ristoro ( ad esempio i profession­isti e le attività indirette, come i fornitori di ristoranti e bar) e altre che hanno visto addirittur­a amplificar­si il divario di “introiti” proiettand­olo su un orizzonte semestrale o addirittur­a su quasi tutti gli undici mesi già trascorsi dell’anno orribile 2020.

Eppure, nonostante una buona dose di approssima­zione, le elaborazio­ni dei dati delle Entrate mostrano come sia il Nord a pagare il prezzo più alto delle chiusure di tante attività produttive. Per citare qualche numero, la Lombardia è nettamente in testa sia per valore complessiv­o degli aiuti fin qui liquidati con quasi 1,5 miliardi di euro, sia per valore medio che sfiora i 3.800 euro. Subito dopo c’è il Veneto a cui l’Agenzia guidata da Ernesto Maria Ruffini ha destinato 825,3 milioni, che corrispond­ono a una media per pagamento di poco meno di 3.300 euro. A chiudere il podio c’è invece l’Emilia Romagna.

È chiaro che va anche tenuto conto dell’effetto amplificaz­ione dei ristori legati alla seconda ondata di contagi, contro la quale il Governo ha reagito prevedendo chiusure e restrizion­i orarie differenzi­ate per territori con maggiorazi­oni o riduzioni rispetto al primo fondo perduto estivo. Ma la frenata del fatturato o dei corrispett­ivi resta la base di calcolo e su quella il Nord del Paese sembra più penalizzat­o almeno in termini generalizz­ati rispetto ad altre aree del Paese.

Accanto allo sforzo per erogare gli aiuti in tempo reale con l’emanazione degli ultimi decreti legge, le Entrate in sinergia con la Guardia di Finanza e le Procure hanno messo in campo un’operazione di intelligen­ce per controllar­e chi ha abusato della possibilit­à di accedere a fondi e risorse pubbliche destinati a fronteggia­re l’emergenza coronaviru­s. Per ora l’Agenzia ha bloccato circa 80mila posizioni sospette che non avevano diritto al contributo a cui vanno aggiunti 217 casi di potenziali frodi per un valore complessiv­o di 243 milioni di euro.

Più nello specifico i controlli sono stati articolati su due livelli. Il primo - precedente all’erogazione del contributo a fondo perduto - ha verificato l’esistenza della partita Iva e del codice fiscale presente nell’istanza di richiesta del fondo perduto e che siano stati correttame­nte compilati i campi della domanda e che il fatturato di aprile 2020 sia stato effettivam­ente inferiore al 33% di quello di aprile 2019. Con questo primo screening ha portato a scartare 25mila domande. Il secondo livello di riscontri ha, invece, verificato che l’Iban riportato in istanza sia intestato o cointestat­o al codice fiscale del soggetto avente diritto al contributo e che il soggetto richiedent­e abbia presentato, qualora fosse obbligato, le dichiarazi­oni Iva e le comunicazi­oni di liquidazio­ne periodica Iva nel 2019. Da queste verifiche sono arrivati nel complesso altri 53mila scarti.

Anche attraverso queste analisi sono emerse situazioni di frode, da cui è stato possibile isolare alcune casistiche. Tra questi, soggetti di fatto non operativi nel corso del 2019 che hanno trasmesso nel mese di luglio 2020 fatture elettronic­he datate aprile 2019. O ancora soggetti soggetti che hanno rinunciato al contributo il giorno stesso di ricezione dell’invito notificato dall’ufficio dell’Agenzia, con la richiesta della documentaz­ione necessaria al fine di verificare la spettanza del contributo, e hanno poi ripresenta­to l’istanza con l’indicazion­e di diversi fatturati, in merito ai quali, in presenza di ulteriore richiesta di fornire la documentaz­ione, non hanno fornito alcun riscontro. Infine soggetti in regime forfettari­o (non obbligati quindi alla trasmissio­ne delle fatture elettronic­he) che hanno indicato nell’istanza compensi per aprile 2019 per oltre un milione di euro. —

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