Il Sole 24 Ore

CONTE, PACE ARMATA CON L’OPPOSIZION­E

- Di Paolo Armaroli

«Nessun governo può conservars­i ben saldo a lungo senza un'opposizion­e formidabil­e». Così la pensava il leader conservato­re Benjamin Disraeli, per due volte premier ai tempi della regina Vittoria. Parlamenta­re per quasi mezzo secolo, conosceva a menadito le regole scritte e non scritte del potere legislativ­o. E si regolava di conseguenz­a. Cent'anni dopo, un autorevole parlamenta­re liberale come Salvatore Valitutti sosteneva che il Parlamento respira con due polmoni: quello della maggioranz­a e quello dell'opposizion­e.

Non c'è due senza tre. A questi esponenti del pensiero liberale si aggiunge Sergio Mattarella, non a caso docente di diritto parlamenta­re e deputato di lungo corso. Ha predicato bene di continuo. Fatto sta che Giuseppe Conte finora ha sempre razzolato male per un'infinità di motivi. Per cominciare, sarà anche vero che l'attuale inquilino di Palazzo Chigi assomiglia con un po' di fantasia a Giulio Andreotti per la sua astuzia volpina mascherata da modi estremamen­te cortesi. Ma il divo Giulio, al pari di Agostino Depretis, era un mattatore parlamenta­re. Mentre Conte appare intimidito ogni volta che entra nella fossa dei leoni di Montecitor­io

e di Palazzo Madama.

Bisogna capirlo. Alla Camera deve vedersela con un tipino come Giorgia Meloni, che si studia i dossier, da prima della classe qual è, e poi non ne risparmia una a Conte. E al Senato il presidente del Consiglio deve fare i conti con Matteo Salvini, che ha il dente avvelenato per essere stato soavemente infilzato nella storica seduta di Palazzo Madama del 20 agosto 2019. Come se non bastasse, si deve rapportare con Matteo Renzi, formalment­e in maggioranz­a ma che sovente parla e agisce come se stesse all'opposizion­e.

La verità è che Conte ha aperto all'opposizion­e e subito dopo ha richiuso un'infinità di volte. Alla scuola di Luigi XI e degli Asburgo, pure lui ha praticato la politica del divide et impera. Ha cercato di mettere l'uno contro l'altro i suoi avversari politici e di usare come ruota di scorta un Berlusconi del quale tutto si potrà dire salvo che sia un ingenuo. E a che pro? Perché se maggioranz­a e opposizion­e cominciano a dialogare sul serio, come auspica la presidente Casellati, c'è il rischio di arrivare a un governo di salute pubblica del quale Conte sarebbe la vittima sacrifical­e. E lui al potere si è affezionat­o.

Tuttavia anche l'opposizion­e ci ha messo del suo. Salvini e la Meloni non si fidano. E alla luce di quanto è accaduto finora, si può anche capire. Con il giochino dei maxiemenda­menti sui quali il governo pone la questione di fiducia, gli emendament­i dell'opposizion­e non sono mai presi in consideraz­ione. Perciò c'è il rischio che con la legge di bilancio le cose non cambino. Il predetto disegno di legge con un ritardo incredibil­e è stato appena presentato alla Camera. E il Senato sarà costretto a dire sì al buio. Con il risultato che il nostro bicamerali­smo, come sostiene Sabino Cassese, sta degradando in monocamera­lismo alternato.

Poi, all'improvviso, è scoppiato se non la pace, un armistizio. Un colpo teatrale bello e buono dal sapore pirandelli­ano. Sì, perché sullo scostament­o di bilancio è stata Forza Italia, vale a dire il fanalino di coda del centrodest­ra, a trainare Lega e Fratelli d'Italia. Hanno capito che il dialogo tra sordi non avrebbe giovato a nessuno. E si sono adeguati. Tuttavia Conte non può cantare vittoria. Perché, come un pianista del Far West, si trova tra due fuochi: tra l'incudine della maggioranz­a e il martello dell'opposizion­e. Ma il finale è ancora tutto da scrivere. E nel frattempo l'inquilino di Palazzo Chigi aspetta e spera. Altro non può fare.

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