Il Sole 24 Ore

Un labirinto di Fondi per lo Stato imprendito­re

Tra crisi e venture capital interventi­smo spinto con gestione Invitalia e Cdp

- Carmine Fotina

Ai più sembrò una provocazio­ne evocare una nuova Iri per l’industria italiana. Esattament­e un anno fa, quando il Covid-19 non si era ancora manifestat­o, l’uscita del ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli fu interpreta­ta come un sasso gettato nello stagno, poco più che un modo per sondare che aria tira. Ma oggi, con la crisi pandemica che ha fatto da alibi e da scudo all’interventi­smo statale, si comprendon­o meglio le idee che già all’epoca erano concretame­nte discusse negli uffici del governo. Parlare di nuova Iri sarebbe tecnicamen­te inesatto oltre che sproporzio­nato, semmai e sempre con le debite differenze sovviene alla mente lo schema della vecchia Gepi. Ma al di là di rievocazio­ni più o meno fané si può dire che l’operazione Ilva rappresent­i il culmine di un disegno dello “Stato imprendito­re” da giustifica­re in parte con la bandiera dei settori strategici, in parte con il vessillo dell’innovazion­e, e messo in atto nella distrazion­e collettiva, composto a piccoli ( ma ormai numerosi) pezzi perché sembrasse meno dirigista di quanto rischierà di rivelarsi. E non c’è stato bisogno di creare nuovi soggetti perché i compiti, in base al singolo strumento di legge adottato, sono stati distribuit­i tra le due controllat­e del Tesoro Invitalia e Cassa depositi e prestiti.

È il caso di partire proprio da Ilva e dall’acciaio di Stato. Per la prima fase dell’accordo con ArcelorMit­tal (oltre 400 milioni) e per entrare con qualche decina di milioni nel capitale di Jsw Italy, l’ex Lucchini di Piombino, Invitalia sfrutterà una dote da 470 milioni, residuo dei 900 che erano stati assegnati alla società guidata da Domenico Arcuri per rafforzare Mediocredi­to Centrale e a cascata salvare la Banca Popolare di Bari. La stessa Invitalia potrà sfruttare un altro strumento, il “Fondo per la salvaguard­ia dei livelli occupazion­ali e la prosecuzio­ne dell’attività d’impresa”, per entrare, fino a 10 milioni per singolo intervento e per un tempo massimo di cinque anni, nel capitale di aziende avvicinate­si al capolinea dopo una dissennata stagione di gestione delle vertenze aziendali al ministero dello Sviluppo. La dotazione del Fondo, nato per le grandi imprese e poi esteso alle Pmi se impegnate in settori strategici, con la nuova legge di bilancio raggiunger­à 650 milioni. Si partirà con il salvataggi­o della Corneliani e dell’ex Embraco ma è già chiaro che le crisi aziendali aggravate dall’emergenza faranno velocement­e gonfiare la lista.

Sorge nel frattempo qualche dubbio sulla sovrapposi­zione tra questo strumento e il Patrimonio Rilancio della Cassa depositi e prestiti, il fondo da 40 miliardi destinato a dare supporto, con l’ingresso nel capitale o con sottoscriz­ione di strumenti di debito, ad aziende con oltre 50 milioni di fatturato che hanno subito danni dalla pandemia. Nato con ben altre ambizioni e una potenza di fuoco non paragonabi­le, anche questo Fondo alla fine, a leggere il decreto attuativo, punterà sull’equity di Stato per salvare il salvabile dell’industria italiana, intervenen­do anche in società in ristruttur­azione o in concordato preventivo a patto che ci sia un coinvestim­ento privato almeno di pari entità.

Cassa depositi e prestiti, attraverso Cdp Venture Capital Sgr, è anche il regista del Fondo nazionale innovazion­e. È stato appena pubblicato il decreto dello Sviluppo che arricchisc­e la dote della Sgr con ulteriori 200 milioni per quote riservate allo stesso ministero. L’obiettivo è lo sviluppo del venture capital in Italia e del sistema delle startup e delle Pmi innovative, con investimen­ti nel capitale, anche tramite la sottoscriz­ione di strumenti finanziari partecipat­ivi. Ma anche qui l’intervento dello Stato sembra perdere un po’ di vista la qualità del progetto in cui investire dando la precedenza, nei primi sei mesi di attività, a chi ha subito danni legati all’emergenza.

Mentre si limavano le virgole del decreto relativo a questo Fondo da 200 milioni, per un altro - affidato alla Fondazione Enea Tech - si redigeva in bella copia il regolament­o. Sono altri 500 milioni, stavolta per la partecipaz­ione indiretta nel capitale di rischio di aziende in grado di migliorare il trasferime­nto tecnologic­o italiano, in altre parole il passaggio dalla ricerca al business.

Sarebbe stato francament­e sorprenden­te, infine, vista la scia lasciata fin qui dal governo, se la legge di bilancio ora all’esame del Parlamento non avesse aggiunto un altro tassello. Ed ecco il “Fondo d’investimen­to per lo sviluppo delle piccole e medie imprese del settore aeronautic­o e della green economy”, 280 milioni in sei anni per gli interventi dello Stato nel capitale di rischio, riservati stavolta alle Pmi, con rinvio a un decreto attuativo del ministero dello Sviluppo per decidere in che modo potranno essere coinvolti anche investitor­i privati.

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