Un labirinto di Fondi per lo Stato imprenditore
Tra crisi e venture capital interventismo spinto con gestione Invitalia e Cdp
Ai più sembrò una provocazione evocare una nuova Iri per l’industria italiana. Esattamente un anno fa, quando il Covid-19 non si era ancora manifestato, l’uscita del ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli fu interpretata come un sasso gettato nello stagno, poco più che un modo per sondare che aria tira. Ma oggi, con la crisi pandemica che ha fatto da alibi e da scudo all’interventismo statale, si comprendono meglio le idee che già all’epoca erano concretamente discusse negli uffici del governo. Parlare di nuova Iri sarebbe tecnicamente inesatto oltre che sproporzionato, semmai e sempre con le debite differenze sovviene alla mente lo schema della vecchia Gepi. Ma al di là di rievocazioni più o meno fané si può dire che l’operazione Ilva rappresenti il culmine di un disegno dello “Stato imprenditore” da giustificare in parte con la bandiera dei settori strategici, in parte con il vessillo dell’innovazione, e messo in atto nella distrazione collettiva, composto a piccoli ( ma ormai numerosi) pezzi perché sembrasse meno dirigista di quanto rischierà di rivelarsi. E non c’è stato bisogno di creare nuovi soggetti perché i compiti, in base al singolo strumento di legge adottato, sono stati distribuiti tra le due controllate del Tesoro Invitalia e Cassa depositi e prestiti.
È il caso di partire proprio da Ilva e dall’acciaio di Stato. Per la prima fase dell’accordo con ArcelorMittal (oltre 400 milioni) e per entrare con qualche decina di milioni nel capitale di Jsw Italy, l’ex Lucchini di Piombino, Invitalia sfrutterà una dote da 470 milioni, residuo dei 900 che erano stati assegnati alla società guidata da Domenico Arcuri per rafforzare Mediocredito Centrale e a cascata salvare la Banca Popolare di Bari. La stessa Invitalia potrà sfruttare un altro strumento, il “Fondo per la salvaguardia dei livelli occupazionali e la prosecuzione dell’attività d’impresa”, per entrare, fino a 10 milioni per singolo intervento e per un tempo massimo di cinque anni, nel capitale di aziende avvicinatesi al capolinea dopo una dissennata stagione di gestione delle vertenze aziendali al ministero dello Sviluppo. La dotazione del Fondo, nato per le grandi imprese e poi esteso alle Pmi se impegnate in settori strategici, con la nuova legge di bilancio raggiungerà 650 milioni. Si partirà con il salvataggio della Corneliani e dell’ex Embraco ma è già chiaro che le crisi aziendali aggravate dall’emergenza faranno velocemente gonfiare la lista.
Sorge nel frattempo qualche dubbio sulla sovrapposizione tra questo strumento e il Patrimonio Rilancio della Cassa depositi e prestiti, il fondo da 40 miliardi destinato a dare supporto, con l’ingresso nel capitale o con sottoscrizione di strumenti di debito, ad aziende con oltre 50 milioni di fatturato che hanno subito danni dalla pandemia. Nato con ben altre ambizioni e una potenza di fuoco non paragonabile, anche questo Fondo alla fine, a leggere il decreto attuativo, punterà sull’equity di Stato per salvare il salvabile dell’industria italiana, intervenendo anche in società in ristrutturazione o in concordato preventivo a patto che ci sia un coinvestimento privato almeno di pari entità.
Cassa depositi e prestiti, attraverso Cdp Venture Capital Sgr, è anche il regista del Fondo nazionale innovazione. È stato appena pubblicato il decreto dello Sviluppo che arricchisce la dote della Sgr con ulteriori 200 milioni per quote riservate allo stesso ministero. L’obiettivo è lo sviluppo del venture capital in Italia e del sistema delle startup e delle Pmi innovative, con investimenti nel capitale, anche tramite la sottoscrizione di strumenti finanziari partecipativi. Ma anche qui l’intervento dello Stato sembra perdere un po’ di vista la qualità del progetto in cui investire dando la precedenza, nei primi sei mesi di attività, a chi ha subito danni legati all’emergenza.
Mentre si limavano le virgole del decreto relativo a questo Fondo da 200 milioni, per un altro - affidato alla Fondazione Enea Tech - si redigeva in bella copia il regolamento. Sono altri 500 milioni, stavolta per la partecipazione indiretta nel capitale di rischio di aziende in grado di migliorare il trasferimento tecnologico italiano, in altre parole il passaggio dalla ricerca al business.
Sarebbe stato francamente sorprendente, infine, vista la scia lasciata fin qui dal governo, se la legge di bilancio ora all’esame del Parlamento non avesse aggiunto un altro tassello. Ed ecco il “Fondo d’investimento per lo sviluppo delle piccole e medie imprese del settore aeronautico e della green economy”, 280 milioni in sei anni per gli interventi dello Stato nel capitale di rischio, riservati stavolta alle Pmi, con rinvio a un decreto attuativo del ministero dello Sviluppo per decidere in che modo potranno essere coinvolti anche investitori privati.