Il recupero di fine anno salva le fusioni
Lazard: nell’anno del Covid acquisizioni a 50,9 miliardi Solo un lieve calo sul 2019
Alla fine il 2020 delle fusioni e acquisizioni riesce a salvarsi, anzi quasi a eguagliare l’anno precedente. Gli ultimi dati, forniti da Dealogic, mostrano in Italia un volume delle fusioni e acquisizioni a quota 50,9 miliardi di euro per complessive 768 operazioni. Nel 2019 erano stati raggiunti 53,3 miliardi per un totale di 791 transazioni.
«Salvo il forte calo dovuto al primo lockdown di marzo-aprile scorso - conferma Michele Marocchino, managing director e co-head del financial sponsor group in Europa di Lazardi numeri sembrano essere non dissimili dal 2019: sia come valore sia come numero, anche se leggermente più basso. Il mercato è stato influenzato da alcune grandi operazioni, che lo scorso anno non ci sono state, come Intesa Sanpaolo-Ubi e Nexi-Sia-Nets. L’unico vero blocco delle attività c’è stato appunto tra marzo e aprile. Poi c’è stata una forte accelerazione e adesso il mercato è caratterizzato da un leggero calo tipico del finale d’anno. Tutto il secondo semestre è stato abbastanza attivo. Alcuni private equity hanno rimandato alcune operazioni all’anno successivo, mentre ci sono stati alcuni settori e aziende, che sono state più resilienti».
Se si guarda invece la dimensione delle transazioni, si nota una volta di più che l’Italia è un mercato caratterizzato da transazioni su piccole e medie imprese: secondo le elaborazioni di Lazard, solo il 2% delle operazioni ha un valore sopra i 2 miliardi, mentre un altro 2% ha una valutazione tra uno e 2 miliardi. Il 4% dei deal è stato in un range tra 500 milioni e un miliardo, mentre il 9% tra 500 milioni e 200 milioni. La parte del leone la fanno ancora le piccole transazioni: il 31% in una taglia compresa tra 25 e 200 milioni e la quota restante (addirittura il 52%) su transazioni ancora più piccole.
Il mercato è sembrato ancora lontano dai record di qualche anno fa, come il 2015 quando erano stati toccati 79,5 miliardi di valore, ma per gli addetti ai lavori resta significativo l’interesse degli investitori, che sono carichi di liquidità: «Quest’anno - continua Marocchino - è piuttosto mutato l’approccio degli investitori. C’è un forte interesse per gli asset caratterizzati da un’unicità, per la tipologia del prodotto o per la posizione di mercadere to. Altri asset, non distintivi, risultano invece meno attraenti in questo periodo, che vede il rischio percepito sugli investimenti più alto e di conseguenza più selezione. In queste ultime settimane siamo riusciti a chiudere operazioni come Comprital, Gcds e De Nora proprio per questo motivo. Sta anche cambiando il ruolo dell’advisor finanziario: nell’attuale situazione è preferibile scegliere gli asset da vena seconda della loro unicità e qualità, appunto, e creare processi, sì competitivi, ma molto ristretti, dedicati solo ai compratori più appropriati». Nel frattempo, gli ultimi mesi in Italia hanno anche mostrato la presenza di una stratificata lista di investitori esteri, che vanno dai private equity tradizionali, ai fondi di turnaround, fino ai grandi fondi pensione e fondi sovrani e ai family office.
«Non ho notato un calo della presenza degli investitori esteri - continua Marocchino -. Solo nel periodo più intenso del covid sono stati fermi, a differenza di altre crisi: nel 2011 ad esempio gli investitori esteri sono stati lontani dal Paese più a lungo. Inoltre c’è molta più attività nelle operazioni volte alla cessione di una minoranza. Molte aziende familiari italiane in questo periodo stanno portando avanti un percorso di crescita con investitori di minoranza a supporto». Basta pensare ai recenti casi di De Nora, dove è entrata Snam, e di Illy Caffè, dove sta facendo il suo ingresso il fondo Rhone Capital.
«La spinta a prendere decisioni di questo tipo - continua Marocchino - è data dalla volontà di crescere ancora di più e di fare un salto dimensionale. Le performance delle aziende, un po’ impattate dal covid, hanno così fatto emergere il tema dell’unicità di alcuni asset made in Italy».
«L’unico vero blocco delle attività c’è stato a marzo e aprile. Poi c’è stata una forte accelerazione. Anno dominato da grossi deal»