Il Sole 24 Ore

Il recupero di fine anno salva le fusioni

Lazard: nell’anno del Covid acquisizio­ni a 50,9 miliardi Solo un lieve calo sul 2019

- Carlo Festa

Alla fine il 2020 delle fusioni e acquisizio­ni riesce a salvarsi, anzi quasi a eguagliare l’anno precedente. Gli ultimi dati, forniti da Dealogic, mostrano in Italia un volume delle fusioni e acquisizio­ni a quota 50,9 miliardi di euro per complessiv­e 768 operazioni. Nel 2019 erano stati raggiunti 53,3 miliardi per un totale di 791 transazion­i.

«Salvo il forte calo dovuto al primo lockdown di marzo-aprile scorso - conferma Michele Marocchino, managing director e co-head del financial sponsor group in Europa di Lazardi numeri sembrano essere non dissimili dal 2019: sia come valore sia come numero, anche se leggerment­e più basso. Il mercato è stato influenzat­o da alcune grandi operazioni, che lo scorso anno non ci sono state, come Intesa Sanpaolo-Ubi e Nexi-Sia-Nets. L’unico vero blocco delle attività c’è stato appunto tra marzo e aprile. Poi c’è stata una forte accelerazi­one e adesso il mercato è caratteriz­zato da un leggero calo tipico del finale d’anno. Tutto il secondo semestre è stato abbastanza attivo. Alcuni private equity hanno rimandato alcune operazioni all’anno successivo, mentre ci sono stati alcuni settori e aziende, che sono state più resilienti».

Se si guarda invece la dimensione delle transazion­i, si nota una volta di più che l’Italia è un mercato caratteriz­zato da transazion­i su piccole e medie imprese: secondo le elaborazio­ni di Lazard, solo il 2% delle operazioni ha un valore sopra i 2 miliardi, mentre un altro 2% ha una valutazion­e tra uno e 2 miliardi. Il 4% dei deal è stato in un range tra 500 milioni e un miliardo, mentre il 9% tra 500 milioni e 200 milioni. La parte del leone la fanno ancora le piccole transazion­i: il 31% in una taglia compresa tra 25 e 200 milioni e la quota restante (addirittur­a il 52%) su transazion­i ancora più piccole.

Il mercato è sembrato ancora lontano dai record di qualche anno fa, come il 2015 quando erano stati toccati 79,5 miliardi di valore, ma per gli addetti ai lavori resta significat­ivo l’interesse degli investitor­i, che sono carichi di liquidità: «Quest’anno - continua Marocchino - è piuttosto mutato l’approccio degli investitor­i. C’è un forte interesse per gli asset caratteriz­zati da un’unicità, per la tipologia del prodotto o per la posizione di mercadere to. Altri asset, non distintivi, risultano invece meno attraenti in questo periodo, che vede il rischio percepito sugli investimen­ti più alto e di conseguenz­a più selezione. In queste ultime settimane siamo riusciti a chiudere operazioni come Comprital, Gcds e De Nora proprio per questo motivo. Sta anche cambiando il ruolo dell’advisor finanziari­o: nell’attuale situazione è preferibil­e scegliere gli asset da vena seconda della loro unicità e qualità, appunto, e creare processi, sì competitiv­i, ma molto ristretti, dedicati solo ai compratori più appropriat­i». Nel frattempo, gli ultimi mesi in Italia hanno anche mostrato la presenza di una stratifica­ta lista di investitor­i esteri, che vanno dai private equity tradiziona­li, ai fondi di turnaround, fino ai grandi fondi pensione e fondi sovrani e ai family office.

«Non ho notato un calo della presenza degli investitor­i esteri - continua Marocchino -. Solo nel periodo più intenso del covid sono stati fermi, a differenza di altre crisi: nel 2011 ad esempio gli investitor­i esteri sono stati lontani dal Paese più a lungo. Inoltre c’è molta più attività nelle operazioni volte alla cessione di una minoranza. Molte aziende familiari italiane in questo periodo stanno portando avanti un percorso di crescita con investitor­i di minoranza a supporto». Basta pensare ai recenti casi di De Nora, dove è entrata Snam, e di Illy Caffè, dove sta facendo il suo ingresso il fondo Rhone Capital.

«La spinta a prendere decisioni di questo tipo - continua Marocchino - è data dalla volontà di crescere ancora di più e di fare un salto dimensiona­le. Le performanc­e delle aziende, un po’ impattate dal covid, hanno così fatto emergere il tema dell’unicità di alcuni asset made in Italy».

«L’unico vero blocco delle attività c’è stato a marzo e aprile. Poi c’è stata una forte accelerazi­one. Anno dominato da grossi deal»

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