Il cocktail di anticorpi di Trump non sarà mai l’arma risolutiva
Per sponsorizzarlo, Donald Trump non ha usato mezze misure: “mi sento perfetto” ha detto, attribuendo – senza prove - il merito della sua rapida guarigione al cocktail di anticorpi della Regeneron, assunto insieme a molte altre terapie. E ora, per i due anticorpi monoclonali casirivimab e imdevimab, arriva il via libera come terapia di emergenza (la cosiddetta Eua) della Fda statunitense. Il mix potrà essere somministrato ad adulti e ragazzi di età superiore ai 12 anni e di peso non inferiore ai 40 kg, che siano a rischio per altre patologie o condizioni, ma che abbiamo un Covid da lieve a moderato, tale da non richiedere ricovero né ossigeno. Lo stesso era accaduto, un paio di settimane fa, all’anticorpo della Lilly bamlanivimab, approvato sia dalla Fda che, pochi giorni dopo, dall’omologa agenzia canadese.
La terapia del Covid passerà dunque anche, forse, dagli anticorpi monoclonali, soprattutto se i dati delle ultime fasi sperimentali, ancora da concludere, confermeranno quanto visto in quelle preliminari, che sono comunque state giudicate sufficienti per una prima luce verde.
Ma se anche ogni test dovesse essere superato, è probabile che questo genere di cure sia destinato a un ruolo di nicchia, per diversi motivi. Per capire quali, è bene ricordare che cosa è un anticorpo monoclonale, e come si ottiene. Il primo passaggio è l’isolamento, in un paziente, di un anticorpo particolarmente efficace. Una volta identificato, se ne ottiene la sequenza genetica e la si fa esprimere, cioè ritrasformare in anticorpo, a una coltura cellulare o ibrida murina-umana, oppure di cellule tutte umane (in questi 3 casi tutte umane). Questa è una fase delicata, che richiede stabilimenti di produzione per preparati biologici con bioreattori e un controllo ferreo, ed è un primo fatto che giustifica, in parte, il costo di questi prodotti. Ma, anche, spiega perché i monoclonali possano indurre, in una quota non trascurabile di pazienti, allergie e altre reazioni indesiderate a qualche elemento proveniente dalle colture. A sua volta, ciò rende indispensabile la somministrazione ospedaliera, perché il paziente va monitorato. La prestazione
professionale è comunque necessaria, perché somministrare un monoclonale non è un’operazione alla portata di chiunque. Molto spesso è infatti richiesta, come nel caso dei monoclonali anti Covid, un’infusione endovenosa di alcuni grammi di prodotto, non meno di 1-2, e ciò rende il preparato molto denso.
Poi ci sono anche limiti temporali: poiché lo scopo dei monoclonali è neutralizzare il virus (sono diretti tutti contro la proteina spike), vanno dati entro un periodo massimo di 10 giorni dai primi sintomi, perché quando il virus si è già replicato molto non sono più efficaci, ed è meglio concentrarsi su altri aspetti come la reazione infiammatoria.
Infine ci sono i costi. Stando a Forbes, la miscela di Regeneron dovrebbe costare tra i 1.500 e i 6.500 dollari a trattamento, mentre quello della Lilly ne costa circa 1.100 a dose: prezzi che, soprattutto quando sommati a quelli indiretti, allontanano la possibilità che queste cure diventino accessibili a tutti.
Per tutti questi motivi, non è scontato che le agenzie preposte approvino la rimborsabilità, che viene di solito concessa quando un certo farmaco dimostra di apportare un beneficio tale da giustificare tanto la spesa quanto i possibili rischi. Bisognerà comunque attendere i dati completi e le valutazioni complessive. Le approvazioni d’emergenza sono state ottenute da Regeneron in base a un suo comunicato (l’azienda ha pubblicato solo i dati della fase 1), e da Lilly in base a quelli della fase 2, su 450 pazienti, pubblicati in estate, cui ne sono seguiti altri su animali, e niente più (per ora). L’Ema, per ora, non ha ancora concesso neanche l’uso in urgenza.
Nel frattempo, altri ricercatori stanno dando la caccia agli anticorpi nei sieri dei malati: proprio in questi giorni un team internazionale nel quale figura anche il gruppo di Massimo Galli dell’Ospedale Sacco di Milano ha pubblicato su Science la descrizione di altri due anticorpi molto potenti, almeno nei modelli animali. Diverse aziende stanno a loro volta lavorando su questo, cercando di andare oltre i limiti dei primi: quelli in fase avanzata di sperimentazione clinica sono una decina. Ma anche secondo Nature, che ha dedicato al tema più di un articolo piuttosto critico, i monoclonali, almeno nella loro forma attuale, non saranno mai l’arma risolutiva se non per pochi, selezionati pazienti.