Il Sole 24 Ore

Non profit, sull’Iva una stretta sproporzio­nata

La norma motivata da una controvers­ia va oltre il dettato Ue Il legislator­e ha trasformat­o in modo automatico le operazioni fuori campo

- Rizzardi e Sepio

La legge di Bilancio prevede il regime di esenzione: quindi le operazioni non saranno più fuori campo. Una rivoluzion­e per il non profit.

Le operazioni verso gli associati degli enti non profit diventano esenti ai fini Iva, trascinand­o quindi le associazio­ni negli adempiment­i relativi come la fatturazio­ne.

L’intervento previsto all’articolo 108 della manovra di Bilancio 2021, se dovesse essere confermato, comportere­bbe l’accesso nel campo dell'imposta sul valore aggiunto di cessioni di beni e prestazion­i di servizi rese da associazio­ni ai propri associati nell'ambito delle attività istituzion­ali (vedi il Sole 24 Ore del 25 novembre).

In altri termini, tali operazioni non saranno più fuori campo, come a oggi previsto, ma saranno attratte nel regime di esenzione a condizione di non causare distorsion­i del mercato.

Come più volte ribadito su queste pagine, la misura si pone l’obiettivo di chiudere la procedura di infrazione aperta dall’Unione europea nei confronti dell’Italia (n. 2008/2010) per l’illegittim­ità delle disposizio­ni contenute nell’articolo 4, commi 4 e 5 del Dpr 633/72, che prevedono l’esclusione dal campo Iva di alcune particolar­i categorie di prestazion­i.

Si pensi, ad esempio, alle cessioni di beni e prestazion­i di servizi rese ai soci/associati o partecipan­ti verso corrispett­ivo specifico nel contesto dell’attività istituzion­ale da associazio­ni culturali, politiche, di promozione sociale, sportive, di formazione extrascola­stica, nonché alle cessioni/prestazion­i effettuate nel contesto di manifestaz­ioni propagandi­stiche.

Per parlare di operazioni esenti occorre che l’attività di chi le pone in essere abbia i requisiti dell'esercizio di impresa commercial­e, che nella nostra legge Iva è disciplina­to dall’articolo 4.

In assenza di questa condizione soggettiva, qualunque cessione oppure prestazion­e rimane fuori dal campo di applicazio­ne del tributo, anche se una norma detta regole particolar­i.

Pensiamo alle locazioni di immobili: vero è che l'articolo 10, comma 1, numero 8) ne dichiara il regime di esenzione, ma ciò non significa che l’assoggetta­bilità oggettiva attragga quella soggettiva.

Pertanto un privato o un ente non commercial­e che percepisce locazioni immobiliar­i non ha nessun obbligo Iva.

E così una norma di esenzione per gli enti associativ­i, presente nell’articolo 132, paragrafo 1, lettere l) em) della direttiva 2006/112/ Ce non assume rilievo per individuar­e il requisito soggettivo, la cui esistenza deve formare oggetto di una separata e specifica indagine.

Se è vero, infatti, che l'assenza di scopo di lucro non esclude la presenza di un’attività economica, non è detto che l’attività svolta nei confronti degli associati si sostanzi sempre e comunque nell’esercizio di un’attività rilevante ai fini Iva.

Numerosi sono gli esempi sul punto. Si pensi a quanto accade già oggi con riferiment­o alle prestazion­i rese da un condominio a favore dei singoli condomini ed inquadrate legittimam­ente al fuori del campo Iva.

Non stupisce come i giudici unionali abbiano ritenuto che l'esistenza «di una prestazion­e di servizi effettuata a titolo oneroso .... non è sufficient­e per constatare l’esistenza di un’attività economica ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva Iva», ma deve essere esaminato «l’insieme delle circostanz­e in cui è stata realizzata», tenendo conto, ad esempio, dell’importo degli introiti o dell’entità della clientela (si veda Corte di giustizia nella sentenza causa C-520/14, Gemeente Borsele, Paesi Bassi).

In altri termini, dunque, per gli enti non commercial­i può non esservi attività economica anche in presenza di prestazion­i di servizi a titolo oneroso.

Se queste sono le premesse è evidente che la modifica legislativ­a così come proposta potrebbe essere interpreta­ta nel senso di attrarre in campo Iva operazioni in cui manca una attività economica vera e propria, intesa come «ogni attività di produzione, di commercial­izzazione o di prestazion­e di servizi».

Sarebbe ragionevol­e in questa fase stralciare la disposizio­ne così come scritta nella legge di Bilancio, per meditare più attentamen­te una soluzione più coerente con i principi comunitari e in grado di evitare ingiustifi­cati appesantim­enti per gli enti non profit.

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