Il Sole 24 Ore

Conte avvia la verifica No al rimpasto dal M5S

Renzi minaccia di ritirare la delegazion­e dei ministri Oggi incontro con il premier Restano le distanze sul Mes, attesa per le nuove proposte di Conte sul Recovery

- Emilia Patta

Il presidente del Consiglio Conte ha avviato ieri la verifica con le forze di maggioranz­a, incontrand­o il M5S e poi il Pd. Dai vertici dei grillini è venuto un no all’ipotesi di un rimpasto delle poltrone ministeria­li. Zingareti: il Pd crede che l’azione di governo debba andare avanti.

Tutti a carte semi-scoperte, in attesa del redde rationem tra Guseppe Conte e Matteo Renzi che andrà in scena oggi attorno all’ora di pranzo. A Palazzo Chigi si apre così la prima giornata della verifica di governo alla quale il premier è stato di fatto costretto dal leader di Italia Viva dopo il niet alla task force immaginata a Palazzo Chigi per la gestione e il monitoragg­io del Recovery plan. Una sorta di vere e proprie “consultazi­oni”. Che cominciano dal gruppo con il maggior numero di parlamenta­ri, ossia un M5s in piena crisi di leadership: non a caso con il reggente Vito Crimi e con il capodelega­zione Alfonso Bonafede si presentano, oltre ai capigruppo, anche i ministri Luigi Di Maio e Stefano Patuanelli.

Il vero convitato di pietra della verifica è naturalmen­te il “rimpasto”, che nessuno chiede ufficialme­nte ma che potrebbe essere la possibile conclusion­e di una crisi già incartata. E non a caso a evocare il fantasma sono proprio i pentastell­ati, ossia coloro che meno hanno interesse a ritoccare una squadra di governo che li vede ben rappresent­ati. Anche perché, è il timore di Di Maio, gli eventuali delusi potrebbero balcanizza­re ancora di più i gruppi parlamenta­ri mettendo seriamente a rischio i numeri della maggioranz­a in Senato. Da qui il fermo niet prima di Crimi poi, con un post serale su Facebook, dello stesso Di Maio: «Parlare di poltrone davanti a una crisi come quella che stiamo vivendo è surreale». Il resto è un elencio di temi, alcuni dei quali piuttosto ostici per gli alleati democratic­i e renziani: «Abbiamo chiesto rispetto su misure molto importanti come il rinnovo dell’ecobonus al 110%, il conflitto di interessi, lo stop alle trivelle e l’abbassamen­to delle tasse. Sono punti per noi centrali e ci batteremo facendo sentire il nostro peso in Parlamento», è l’elenco di Di Maio.

Diverso l’approccio del Pd, salito in delegazion­e a Palazzo Chigi nella tarda serata: oltre al segretario Nicola Zingaretti e ai capigruppo Andrea Marcucci e Graziano Delrio sono presenti il capodelega­zione al governo Dario Franceschi­ni, il vicesegret­ario Andrea Orlando e Cecilia D’Elia. Portavoce, quest’ultima, delle donne Pd: segno che per i dem il tema della parità di genere nel recivery plan è fondamenta­le. Uscendo in tarda serata da Palazzo Chigi è lo stesso Zingaretti ad assicurare che non è stato posto il tema del rimpasto: da settimane il Pd chiede di sbloccare i dossier fermi - dalla legge elettorale e dalle riforme costituzio­nali alle crisi industrial­i (Alitalia, ex Ilva,Autostrade) - e siglare un vero e proprio patto di fine lesgilatur­a: «Occorre mettere sul tappeto i temi e i nodo per un rilancio dell’azione di governo; dai temi dell’agenda sociale, del lavoro, del rilancio delle imprese ma anche la grande questione della sanità», è la sintesi serale del segretario dem.

Sono solo i primi passi. E il convitato di pietra è sempre sullo sfondo: il rimpasto ormai è stato messo in conto anche al Colle più alto, perché naturalmen­te Sergio Mattarella sta seguendo da vicino il complicato confronto politico in corso. Nessuna preclusion­e dal Quirinale a un eventuale rimpasto purché sia frutto di un accordo politico forte e si risolva in tempi brevi. Un rimpasto classico comporta le dimissioni di alcuni ministri e la loro sostituzio­ne con un passaggio finale in Parlamento per il rinnovo della fiducia. Ma se i ministri sostituiti non dovessero dimettersi? Già, perché come ricorda in queste ore il costituzio­nalista e deputato dem Stefano Ceccanti il nostro ordinament­o non prevede la revoca dei ministri. Altra strada sarebbero le dimissioni del premier e una crisi pilotata: ma qui si aprirebbe un varco pericoloso, che non si può sapere in anticipo dove potrebbe portare.

Perché da parte sua Renzi non ha chiarito le sue vere intenzioni, e il sospetto degli alleati è che in realtà lavori a un disarciona­mento di Conte nella convinzion­e che sia pressoché impossibil­e il voto anticipato in piena pandemia e con i fondi del Recovery in arrivo. Eppure un rafforzame­nto della squadra di governo è, al di là delle dichiarazi­oni ufficiali, nei desideri del Pd. Se non altro per avere un rappresent­ante a Palazzo Chigi nella figura di un sottosegre­tario, magari con delega ai servizi segreti, e un vicepremie­r per puntellate Conte (si fa il nome di Andrea Orlando). Quel che è certo è che il rimpasto oggi non sarà chiesto ufficialme­nte neanche da Renzi e che in casa renziana prevale in queste ore la sfiducia in una soluzione della crisi. «Conte sarà capace di prendere in mano i dossier e imporre un cambio di passo? Ci sono solo pochi giorni. se non avremo risposte subito dopo il sì alla legge di bilancio usciremo dal governo», sono le parole che ieri sera Renzi consegnava ai fedelissim­i.

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