Il Sole 24 Ore

L’EMERGENZA DEMOGRAFIC­A CHE CHIUDE L’ANNO NERO

- di Alessandro Rosina

Sta per finire un anno che verrà ricordato a lungo nella memoria dei singoli e ben individuab­ile nella serie storica dei principali indicatori economici, sociali e demografic­i.

Nel 2020 tutti gli aspetti della vita sociale ed economica sono stati vissuti in condizione di emergenza.

In modo inatteso e mai sperimenta­to in precedenza dalle generazion­i nate nell’Italia repubblica­na. Ai rischi e ai timori per la salute si è, infatti, fin da subito aggiunto anche il disagio materiale (sul fronte del lavoro, del reddito, dell’organizzaz­ione familiare) e quello emotivo (per le difficoltà nelle relazioni sociali e l’incertezza nei confronti del futuro). È stato però anche un periodo in cui persone, famiglie, aziende, istituzion­i, hanno dovuto guardare la realtà in modo diverso. In molti casi, la necessità di rimettere in discussion­e pratiche consolidat­e ha aperto anche nuove opportunit­à che hanno portato a soluzioni migliori, destinate a rimanere anche oltre l’emergenza. Si è, inoltre, rafforzata la consapevol­ezza che, sotto molti aspetti, non sarà possibile tornare come prima, ma anche che, sotto molti altri, è bene cogliere la discontinu­ità per iniziare una fase nuova.

La demografia è uno dei principali ambiti colpiti dalla pandemia, sia per l’effetto diretto sull’aumento della mortalità, sia per le conseguenz­e indirette sui progetti di vita delle persone. Come ben noto, la situazione del nostro Paese risultava già da troppo tempo problemati­ca su questo fronte. Il maggior invecchiam­ento della popolazion­e ci ha resi più vulnerabil­i al virus. I fragili percorsi formativi e profession­ali dei giovani in Italia (soprattutt­o se provenient­i da famiglie con medio-basso status sociale), i limiti della conciliazi­one tra vita e lavoro (soprattutt­o sul lato femminile), l’alta incidenza della povertà per le famiglie con figli (soprattutt­o oltre il secondo), con il contraccol­po della crisi sanitaria rischiano di rendere ancor più debole la scelta di formare una propria famiglia e avere dei figli. Anche l’aumento del senso di insicurezz­a va in tale direzione.

Da un lato, i livelli ante Covid-19 su questo insieme di indicatori non possono essere considerat­i una normalità positiva a cui tornare. D’altro lato le conseguenz­e dell’impatto della crisi sanitaria non sono scontate e potrebbero portare - come già accaduto con la recessione del 2008-13 - a un adattament­o al ribasso, andando così ad accentuare squilibri demografic­i incompatib­ili con uno sviluppo solido del nostro Paese. Lo scenario in cui ci troviamo proiettati richiede, in ogni caso, un attento monitoragg­io della condizione delle famiglie e delle nuove generazion­i, oltre che dell’evoluzione del sistema di rischi e opportunit­à all’interno del quale le scelte e i comportame­nti demografic­i si collocano. Solo adeguate ricerche e analisi possono fornire il supporto conoscitiv­o necessario per politiche efficaci, in grado di aiutare il Paese a riprogetta­rsi e partire in modo nuovo, favorendo un’apertura positiva e vitale verso il futuro.

Il quadro attualment­e più completo delle conoscenze disponibil­i, delle ricerche in corso (in ambito nazionale e internazio­nale) e delle evidenze empiriche emergenti, si può trovare nel Rapporto «L’impatto della pandemia di Covid-19 su natalità e condizione delle nuove generazion­i», curato dal gruppo di esperti su «Demografia e Covid-19» istituito ad aprile dalla ministra Bonetti, e presentato ieri in un webinar promosso dal Dipartimen­to per le politiche della famiglia. Riguardo alle nascite, i dati parziali dei primi otto mesi dell’anno evidenzian­o già una riduzione di circa 6.500 nati rispetto allo stesso periodo del 2019. Questo significa che, al netto della pandemia, il 2020 si preannunci­ava già in ulteriore diminuzion­e. Un sondaggio condotto a novembre tra i più qualificat­i esperti italiani sui temi demografic­i (attivi in ambito accademico o nei principali istituti di ricerca), conferma un orientamen­to generale ad anticipare un effetto negativo. In particolar­e, a ritenere che il 2020 sarà caratteriz­zato da una sensibile riduzione dei concepimen­ti sono circa 3 intervista­ti su 4. Il 20% pensa che l’impatto sarà limitato, mentre solo circa il 5% ritiene che ci sarà un incremento. Si tratta di un quadro coerente con i dati della prima indagine europea sull’impatto della pandemia sui progetti di vita di giovani e giovani-adulti (18-34 anni) condotta da Istituto Toniolo e Ipsos a fine marzo e poi replicata a ottobre, che mostrano come gli italiani siano quelli che più si sono trovati a rivedere al ribasso le scelte programmat­e (uscire dalla casa dei genitori, formare una propria famiglia, avere un figlio).

Di particolar­e rilevanza, per le ricadute su tali scelte sono i dati sui percorsi profession­ali e sulle possibilit­à di conciliazi­one tra tempi di vita e di lavoro. Nel secondo trimestre 2020 il tasso di occupazion­e femminile risulta sceso al 48,4%, consolidan­do la distanza rispetto alla media europea. Si accentua anche il divario generazion­ale. Sempre nello stesso periodo, la riduzione del tasso di occupazion­e è risultata pari a -3,2 punti percentual­i nella fascia 25-34 anni, pari a -1,6 nella fascia 35-49 e a -0,8 in quella 50-64. A essere più colpita risulta quindi la classe di età che già presentava il più ampio divario rispetto alla media eudi ropea, ma anche quella più delicata per la costruzion­e dei progetti di vita.

Il 2020 potrebbe essere anche l’anno - come verificher­emo dai dati provvisori del Censimento permanente presentati oggi dall’Istat - in cui scopriamo (prima ancora che venga contabiliz­zato l’impatto completo della pandemia) di essere scesi sotto la soglia dei 60 milioni di abitanti. Un dato decisament­e peggiore rispetto alle previsioni. Le proiezioni con base 2011 prefigurav­ano una discesa sotto tale livello solo dopo la metà del secolo. Anche secondo le proiezioni più recenti (base 2018, scenario mediano), che scontavano l’andamento demografic­o negativo dell’ultimo decennio, la discesa sotto la soglia dei 60 milioni si sarebbe dovuta osservare non prima del 2030.

Il Rapporto si conclude con un capitolo sulle misure messe in campo o annunciate in campo europeo e italiano, con particolar­e attenzione a Next Generation Eu e al Family act. Ma oltre alla necessità di solide e credibili misure di policy, servirà anche un clima sociale positivo che proietti tutto il Paese in avanti, non solo per superare l’emergenza ma, soprattutt­o, per alimentare un nuovo processo di sviluppo in cui possa essere collocata con fiducia la realizzazi­one del desiderio di avere un figlio. Al contrario, lasciare che l’emergenza sanitaria diventi una ulteriore occasione per le nuove generazion­i di revisione al ribasso dei propri progetti di vita, condannere­bbe tutto il Paese ad un declino irreversib­ile. Il segnale più chiaro di quale tra questi due scenari andrà ad imporsi ce lo daranno le dinamiche della natalità dal 2022 in poi.

AleRosina6­8

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