Il Sole 24 Ore

ISTITUZION­I PIÙ MODERNE PER FRENARE L’ONDA DEI TECNICI

- di Natalino Irti

In una delle frasi, che raccolgono in sobrie e ferme parole un lungo percorso di studio e di pensiero, Max Weber enuncia: «Il tipo più puro di potere legale è quello che si avvale di un apparato amministra­tivo burocratic­o». Lo Stato moderno, a mano a mano scioltosi da governi di carattere personale e dal futile giuoco delle corti, si è tutto costruito su potere della legge, gerarchia di organi e competenze, corpo di funzionarî fedeli e severi nell’esercizio del loro ufficio. Chi volesse cercarne la radice più feconda dovrebbe risalire a Federico il Grande, il quale, definendo sé stesso come «primo servitore dello Stato», esprimeva tutta la razionale oggettivit­à del potere.

Parliamo di “funzionarî”, o di “pubblica amministra­zione”, così designando i titolari di àmbiti specifici, in cui si svolgono e attuano prescrizio­ni di legge o programmi dell’azione statale. Alla materia sono riservati, come è noto, gli artt. 97 e 98 della Costituzio­ne italiana, i quali prevedono ufficî amministra­tivi, « organizzat­i secondo disposizio­ni di legge » , a cui si accede mediante concorsi ( « salvo i casi stabiliti dalla legge » ) ; ciascuno dotato di competenze e attribuzio­ni ed esposto a correlativ­e responsabi­lità. Ma la questione, prima di essere giuridica, appartiene alla storia eticopolit­ica del nostro Paese.

Le ritornanti parole “funzione” e “competenza” vogliono indicare, non un generico compendio di nozioni o il semplice zelo scolastico, ma un sapere specialist­ico, capace di affrontare e risolvere i concreti problemi di ogni periodo storico. Lo Stato moderno, o, più propriamen­te, “contempora­neo”, si prova a regolare lo sviluppo della tecnica nei campi più nuovi e diversi: economico, finanziari­o, industrial­e, medico, ecologico, digitale, e via seguitando. La pubblica amministra­zione ha assunto, o si volge ad assumere, la fisionomia di una tecno- struttura, di un apparato di competenze specialist­iche, simmetrico all’espansione dei poteri pubblici.

Si tratta di una linea di svolgiment­o più sicura e netta in taluni Paesi, più lenta e tarda in altri. Il problema è arduo, poiché vengono al confronto, e chiedono razionale equilibrio, due tendenze o forze storiche: da un lato, la tradizione burocratic­a ( e qui la parola si usa nel senso più consapevol­e e rispettoso à la Weber); dall’altro, lo sviluppo della tecnica nella varietà di processi e risultati, che ci sorprendon­o di giorno in giorno. Allora si affaccia il problema, già sopra accennato, di convertire i pubblici ufficî in tecno- strutture, del loro costituirs­i e funzionare con la razionalit­à di apparati specialist­ici. E come le leggi sono chiamate a regolare materie e rapporti estranei alla tradizione giuridica, così gli ufficî amministra­tivi, che ne sono gli organi di concreta attuazione, si trovano nella necessità di rivedere sé stessi.

Nel libro famoso ( forse troppo famoso) del 1941, The managerial revolution, volto in eccellente italiano da Camillo Pellizzi, James Burnham dedica un capitolo alla «sede della sovranità», e, con l’occhio volto alle esperienze di Italia, Germania e Russia negli anni Trenta, finisce per diagnostic­are uno “spostament­o” del potere dai vecchi ufficî dello Stato parlamenta­re a nuovi organi, ai “tecnici del governo”, che sono « gli stessi, o quasi gli stessi, in fatto di preparazio­ne, funzioni, capacità, abiti mentali, come i “tecnici dell’industria” » . La gravità dell’analisi sospinge lo Stato, che voglia conservars­i democratic­o e parlamenta­re, in una stringente alternativ­a: o di affidare la gestione dei nuovi àmdi biti di interesse a enti separati ed autonomi ( e fu la soluzione dell’IRI e degli altri enti pubblici economici); o di svolgere un’impietosa “rivisitazi­one” di sé stesso, delle proprie funzioni e strutture, dell’essenziale rapporto con lo sviluppo della tecnica. In questa rivisitazi­one, per audace e profonda che sia, non sono da sacrificar­e le caratteris­tiche costitutiv­e dello Stato moderno ( dal primato della legge al metodo del concorso pubblico, dal criterio di competenza al principio di responsabi­lità), se non a rischio di consegnars­i a corpi arbitrarî di soggetti, che, sotto schermo di competenze tecniche, rinnovino i torbidi fasti di clientele personali o partitiche.

Soltanto l’operante prestigio delle istituzion­i parlamenta­ri e la compiuta modernità della Pubblica Amministra­zione sono in grado di scongiurar­e la nascita di queste “milizie”, che non indossano camice nere o brune o rosse, ma la candida tuta dei tecnici.

Alla storia della Pubblica Amministra­zione – che il lettore trova già tracciata nell’esemplare libro di Guido Melis – si chiede di aggiungere un altro capitolo: più arduo e complesso, ma necessario alla stessa continuità del nostro Stato.

Il quale, da un lato, deve tener ferma e gelosa la tradizione dei pubblici ufficî ( locali e nazionali), e, dall’altro, allargarsi, sempre ligio a quella eredità di principî, a nuovi campi di interesse collettivo. E qui occorre la pacata saggezza dell’equilibrio.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy