Gualtieri: appropriata una riflessione nella Ue su strumenti permanenti
«La cabina di regia serve, puntiamo a realizzare una riforma della Pa»
«Un coordinamento serve perché questi sono progetti complessi», ha spiegato il ministro dell’Economia Gualtieri. Il governo è al lavoro sulla «struttura per il monitoraggio e l’attuazione» perché il Recovery Plan è un programma ambizioso anche sul piano dell’attuazione.
Il Rome Investiment Forum che ha aperto ieri i propri lavori nella versione digitale imposta dall’emergenza sanitaria è stata per i vertici della costituenda cabina di regia sul Piano di ricostruzione e resilienza per rimarcare le ragioni della nuova struttura. E per provare al tempo stesso a smussare le polemiche che la “piramide” ha fatto deflagrare nella maggioranza fino a sfociare nella verifica in corso a Palazzo Chigi. Verifica che a Roma si tiene nelle stesse ore in cui a Bruxelles arriva alle fasi decisive il cantiere della Recovery and Resilience Facility. «I tempi per i primi fondi sono la tarda primavera o l’inizio dell’estate», spiega il commissario Ue all’Economia Paolo Gentiloni aggiornando di qualche mese il calendario ipotizzato prima che la questione dello stato di diritto allungasse i tempi del negoziato. Negoziato che nelle intenzioni italiane, e non solo, dovrebbe porre le premesse per un’azione comunitaria che passa da emergenziale a strutturale. «Sarebbe appropriato rendere questo strumento permanente», torna a sottolineare Gualtieri. Ma la precondizione è il successo del piano italiano, cuore vero del Recovery comunitario.
In quest’ottica, la task force potrà avvalersi di un quadro normativo « ad hoc » , con tanto di poteri sostitutivi in caso di ritardi nell’attuazione, ma « in nessun caso sarà sovraordinata o sovrapposta ai doverosi passaggi istituzionali» che coinvolgono governo e parlamento sulla definizione dei progetti, assicura il premier. E la sua ragione sociale, dettaglia il ministro dell’Economia, risiede nel fatto che i 60 progetti divisi nei 17 cluster che animano la bozza di Recovery Plan italiano sono complessi e trasversali: « Non sono attribuiti a un’unica amministrazione - spiega il titolare dei conti -, e non c’è un unico ministero a cui dare i fondi dicendo: spendili » .
Ma anche Gualtieri sottolinea che l’obiettivo della cabina di regia non sarebbe quello di sostituire una pubblica amministrazione ordinaria giudicata inadatta al compito. L’ottica sostenuta dal ministro dell’Economia è anzi opposta. E punta a utilizzare il pacchetto di investimenti e revisioni normative previsto dal piano per attuare la «riforma delle riforme», che consisterebbe nell’aumentare l’efficienza di una pubblica amministrazione investita da progetti trasversali come la digitalizzazione o la ricostruzione di un patrimonio di edilizia sociale oggi frastagliato, incompleto e spesso abbandonato.
Ma dietro alla discussione sugli organigrammi e sulle formule organizzative si gioca la partita vera. Che è quella di « aumentare in modo strutturale il potenziale di crescita del Paese » .
Perché passa da lì la possibilità di gestire le due urgenze italiane: l’esigenza di ridurre le sacche di povertà e di difficoltà economiche alimentate dalla lunga stagnazione, e gonfiate con la crisi sanitaria. E quella di non essere schiacciati da un debito pubblico che l’incrocio fra la spesa anticrisi e il crollo della produzione ha spinto vicino al 160 per cento del Pil.
I numeri che nel piano traducono in cifre questa doppia esigenza attribuiscono ai fondi comunitari il compito di produrre in sei anni circa 140 miliardi di ricchezza aggiuntiva, portando nel 2026 il Pil 2,3 punti sopra ai livelli che raggiungerebbe senza Recovery. Ma per centrare davvero questi ritmi, spiega sempre la bozza, occorre scegliere il mix più efficiente di progetti e le modalità più certe di attuazione. Altrimenti, spiegano sempre i calcoli ministeriali, i miliardi aggiuntivi in sei anni sarebbero 60 in meno. E la crescita aggiuntiva a fine periodo si ridurrebbe all’1,1 per cento.
Queste cifre misurano l’ambizione della sfida. E si appoggiano a circa 105 miliardi fra sovvenzioni e prestiti perché gli altri fondi sarebbero utilizzati non per aggiungersi ma per sostituire finanziamenti domestici ( Sole 24 Ore di mercoledì scorso). Ma «saremo forse l’unico Paese che utilizzerà parte dei prestiti per finanziamenti ulteriori», spiega Gualtieri sottolineando una particolarità dettata anche dai tassi di interesse italiani che aumentano la convenienza dei prestiti Ue.