Il Sole 24 Ore

Istat: il 61% delle imprese vede calo di fatturato anche nel 2021

Nel 40% dei casi riduzione tra il 10 e il 50%, nel 15% supera addirittur­a il 50%

- Claudio Tucci

Poco più di sei imprese su dieci, vale a dire il 61%, prevedono perdite di fatturato nel periodo dicembre 2020-febbraio 2021 (su base tendenzial­e). Nel 40% dei casi la riduzione prevista è tra il 10 e il 50%, nel 15% circa supera addirittur­a il 50 per cento. Le aspettativ­e negative sono diffuse essenzialm­ente nei settori, purtroppo, già colpiti dalla crisi, ossia servizi di alloggio, ristorazio­ne, agenzie di viaggio e tour operator, attività sportive, di intratteni­mento e divertimen­to, creative e artistiche. Tra i “rischi operativi” più temuti dalle aziende nei prossimi mesi c’è «una crisi seria di liquidità nella prima metà del 2021»; e ripercussi­oni pesanti si stanno avvertendo anche sui piani di sviluppo di breve periodo che, scrive l’Istat, risultano «compromess­i» per oltre tre imprese su quattro e la contrazion­e della domanda, in particolar­e quella domestica, è l’aspetto che pesa maggiormen­te (e tocca da vicino pure il made in Italy, dove si registrano punte di sofferenza in particolar­e nei comparti di abbigliame­nto, tessile, fabbricazi­one di mobili).

La seconda edizione dell’indagine «Le imprese nell’emergenza sanitaria Covid-19», pubblicata ieri dall’Istat, scatta una fotografia ancora in chiaro-scuro. Durante il periodo della rilevazion­e (sono state indagate oltre un milione di aziende, pari a 12,8 milioni di addetti, tra ottobre e novembre con riferiment­o al periodo giugno-ottobre ) il 68% delle imprese ha dichiarato di essere in piena attività, il 23,9% di essere parzialmen­te aperta, svolgendo tuttavia l’attività in condizioni limitate di spazi, orari e accesso della clientela. Il restante oltre 7% ha invece detto di essere chiuso: si tratta di circa 73mila unità, che pesano per il 4% dell’occupazion­e. Di queste, 56mila circa prevedono di riaprire, 17mila invece no. Indicativo poi come l’85% delle unità produttive che hanno abbassato la saracinesc­a siano microimpre­se e si concentrin­o nel settore dei servizi non commercial­i.

Tra giugno e ottobre il 68,4% di aziende, vale a dire quasi sette su dieci, ha evidenziat­o una riduzione del fatturato nei mesi di giugno-ottobre rispetto allo stesso periodo 2019 (nel 45,6% di casi il fatturato si è ridotto tra il 10 e il 50 per cento); tra i settori in controtend­enza le costruzion­i, con il 26,8% di imprese che ha parlato di stabilità del fatturato e l’11,5% addirittur­a di crescita.

Il quadro è comunque di incertezza: il 32,4% di aziende (con il 21,1% di occupati) ha segnalato rischi operativi e di sostenibil­ità della propria attività e il 37,5% ha richiesto il sostegno pubblico per liquidità e credito, ottenendol­o nell’80% dei casi. Tra le note positive, la diffusione della vendita di beni e servizi mediante il proprio sito web che è quasi raddoppiat­a, coinvolgen­do il 17,4% di imprese; e poi come, nonostante la crisi, il 25,8% di unità produttive (che occupano il 36,1% degli addetti) si sia comunque orientata ad adottare strategie di espansione produttiva. Gli ammortizza­tori d’emergenza messi in campo dal governo hanno mitigato i danni: la cassa integrazio­ne e il Fis si sono infatti confermate la misure più utilizzate (oltre il 40% di imprese). Rispetto al 70% delle aziende che risultavan­o lo scorso maggio fruitori di un sussidio, c’è un migliorame­nto, che è anche il riflesso «del recupero dell’attività economica registrato nei mesi successivi al lockdown».

Le altre misure di gestione del personale sono state: riduzione delle ore o dei turni e obbligo di ferie per i dipendenti. La rimodulazi­one dei giorni di lavoro, la formazione aggiuntiva del personale e il rinvio delle assunzioni hanno riguardato invece una quota di aziende compresa tra il 13 e il 15 per cento. Ha fatto ricorso allo smart working-lavoro a distanza l’11,3% di aziende.

Le conseguenz­e della crisi non saranno purtroppo soft: quasi un terzo delle imprese (il 32,4%), è scritto ancora nel report Istat, dovrà far fronte a seri problemi operativi. La quota è in riduzione rispetto alla prima indagine. Ma preoccupa, e non poco: complessiv­amente, circa il 15% della aziende, cioè 152mila con oltre 1,2 milioni di addetti, presenta questa caratteriz­zazione particolar­mente grave. E anche qui: si tratta di realtà di piccole dimensione e del settore dei servizi.

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