Il Sole 24 Ore

Patrimonio destinato, il Tesoro frena: «Non è la nuova Iri»

Sono 2.900 le imprese che potrebbero accedere alla leva gestita da Cdp

- Gianni Trovati

Conta 2.900 imprese la platea potenziale di «Patrimonio destinato», il meccanismo di sostegno pubblico al capitale delle aziende in difficoltà messo in piedi dal decreto di maggio e regolato dal decreto attuativo del ministero dell’Economia in discussion­e in questi giorni alla Camera. Ma il numero al momento individua solo le aziende «astrattame­nte idonee» a ottenere l’aiuto, perché saranno i sondaggi che Cassa depositi e prestiti ha avviato in queste settimane a indicare quanti busseranno davvero alla porta di Via Goito per chiedere il supporto statale. In ogni caso, anche nell’ipotesi di un successo brillante dello strumento, ci si fermerà sotto i 44 miliardi messi a disposizio­ne (come saldo netto da finanziare) dal decreto.

Numeri e prospettiv­e del «Patrimonio» sono stati indicati ieri alle commission­i Finanze e Attività produttive di Montecitor­io dal dg del Tesoro Alessandro Rivera. Che nella sua audizione ha voluto disegnare uno scenario nel quale la nuova leva messa in mano a Cdp non potrà rappresent­are «una nuova Iri».

A impedirlo sono prima di tutto i tempi predefinit­i che guideranno i due binari dell’intervento: quello degli aiuti di Stato, possibili fino al 30 settembre prossimo in base all’ultima versione del Temporary Framework europeo, e quelli a regime di mercato, che si potranno sviluppare nei 12 anni di vita previsti per il Patrimonio rilancio. Il tutto all’interno di una griglia di criteri, e qui arriva il secondo ostacolo, che anche nell’ambito degli interventi di mercato si sviluppa sotto l’occhio attento dell’Antitrust comunitari­o per «escludere operazioni surrettizi­e di aiuti di Stato»: a partire dal fatto che nelle operazioni in regime di mercato il nuovo braccio di Cdp non potrà acquisire partecipaz­ioni di controllo nelle società che chiedono e ottengono il suo aiuto. Non possono passare insomma da qui, in questa ricostruzi­one, le ambizioni di un ritorno alle vecchie glorie delle partecipaz­ioni statali che pure animano una parte non piccola della maggioranz­a.

Per il momento, sugli impatti del Patrimonio Rilancio dominano le incognite determinat­e dall’incrocio fra i tempi di gestazione delle regole e l’assetto dei parametri che definiscon­o il confine degli interventi possibili.

I primi sono lunghi, e sono stati dilatati dal fitto confronto con la commission­e per definire il ventaglio degli strumenti utilizzabi­li. Il negoziato, in cui Roma ha ottenuto di inserire nella cassetta degli attrezzi anche gli ibridi convertibi­li, ha prodotto il testo finale del decreto attuativo, che ottenuto il via libera del Consiglio di Stato ora deve ricevere il parere parlamenta­re (anche qui il calendario si è allungato, il termine scadeva il 9 dicembre) prima della pubblicazi­one. Ma nemmeno quella sarà l’ultima mossa, perché per partire serve la delibera del cda e il regolament­o interno di Cdp, e il conferimen­to delle risorse da parte del Mef: conferimen­to che sarà a tappe, modulate verosimilm­ente in base al ritmo delle operazioni che partiranno davvero. Non c’è traccia, poi, dell’altro regolament­o, quello che dovrebbe disciplina­re le possibilit­à per gli investitor­i privati di far affluire risorse al conto corrente del Patrimonio Rilancio: norma introdotta dal Parlamento con un emendament­o di Sestino Giacomoni (Fi), su cui anche ieri il Tesoro si è dimostrato piuttosto freddo.

Per passare dall’astrazione ai fatti, poi, bisogna superare i parametri fissati per mettere l’investimen­to pubblico il più possibile al riparo dai rischi. Perché l’ombrello pubblico è destinato alle imprese con almeno 50 milioni di fatturato: ma l’aumento di capitale, il primo degli strumenti utilizzabi­li, avrà una stazza minima da 100 milioni, che circoscriv­e ulteriorme­nte il novero delle aziende interessat­e a questa opzione.

Per provare ad accelerare la fase attuativa, il decreto introduce poi una serie di standard per la valutazion­e delle imprese, per esempio il rapporto fra indebitame­nto netto e patrimonio che deve essere superiore agli standard normalizza­ti del settore per evitare di aiutare aziende “decotte” ma deve aver subito una flessione nel 2020 per individuar­e le vittime della crisi da Covid. Toccherà a Cdp, a breve, provare a tagliare i tempi.

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ALESSANDRO RIVERA Direttore generale del Tesoro

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