Renzi punta su un’unità di missione interna alla Pa
Il modello è #italiasicura del suo governo: struttura a Chigi senza poteri politici
Via la cabina di regia sul Recovery plan immaginata dal premier: no ai 6 supermanager che avrebbero dovuto agire in sostituzione dei ministri e con poteri in deroga alla legge. Quando Matteo Renzi salirà oggi a Palazzo Chigi con la delegazione di Italia Viva (i capigruppo Davide Faraone e Maria Elena Boschi, il coordinatore nazionale Ettore Rosato e compatibilmente con i suoi impegni di queste ore a Bruxelles la capodelegazione al governo Teresa Bellanova) si aspetta sul piatto la retromarcia di Giuseppe Conte sulla questione che ha dato il via alla crisi strisciante di fine anno. La gestione degli ingenti Fondi Ue che stanno per arrivare dalla seconda metà del 2021 (oltre 200 miliardi), appunto, ma anche le priorità programmatiche contenute nel Piano di rilancio e resilienza fin qui approntato da Conte. «Chi ha deciso che alla sanità vanno solo 9 miliardi? E che al turismo addirittura solo 3?», ripete l’ex premier. Quella che manca, secondo i renziani, è una visione del Paese da qui a 10, 20 anni. Come sottolinea il consigliere economico di Renzi e presidente della commissione Finanze della Camera Luigi Marattin «abbiamo l’occasione irripetibile e dunque il dovere di fare un vero piano industriale del Paese». Gli obiettivi indicati dalla bozza di Palazzo Chigi appaiono in ques’ottica «molto fumosi»: «Vanno specificate le filiere industriali che da qui a dieci anni debbono rafforzarsi per la svolta green, ad esempio. Non basta un elenco di cose».
Merito, dunque, ma soprattutto metodo: il destino delle ingenti somme dei Fondi Ue non può essere deciso nelle segrete stanze di Palazzo Chigi. Quello che ha in mente il leader di Italia Viva è una Unità di missione con personalità scelte all’interno della filiera della pubblica amministrazione per monitorare e controllare l’implementazione di progetti. Un po’ sul modello di “Italia sicura”, l’unità di missione che fu messa in piedi durante il governo Renzi sul dissesto idrogeologico. Quanto alla cabina di regia politica, deve essere in capo al governo nella sua collegialità in accordo con il Parlamento. Nessun triumvirato (premier e ministri dell’Economia e dello Sviluppo economico): c’è già il Ciae, che può essere di volta in volta allargato ai ministri competenti. D’altra parte il malumore verso la task force immaginata da Conte attraversa anche gli altri partiti della maggioranza: se il reggente del M5s Vito Crimi ha ricordato al termine dell’incontro di ieri a Palazzo Chigi che «il M5s ha cercato di far capire che tutti i ministeri debbono essere coinvolti», anche da Leu trapela scontento.
«Bisogna intanto ritornare nel solco dell’ordine costituzionale», dice il capogruppo alla Camera Federico Fornaro (la delegazione di Leu sarà ricevuta da Conte oggi alle 19) intendendo che i poteri dei 6 supermanager della task force erano ai limiti della liceità costituzionale. «E soprattutto va coinvolto il Parlamento, magari con una bicamerale ad hoc».
Al termine degli incontri il premier proporrà una sintesi sul tema del Recovery con l’obiettivo di arrivare all’approvazione in Cdm al più presto. D’altra parte anche i ministri dem interessati (il responsabile dell’Economia Roberto Gualtieri e il ministro per gli Affari Ue Enzo Amendola) sono convinti che una qualche struttura vada comunque messa in piedi: «L’Italia si deve attrezzare non per costruire governi paralleli ma per fare in modo che la pubblica amministrazione segua dei processi di semplificazione forti», ha ribadito ieri Amendola parlando proprio di «unità di missione». Potrebbe essere questo, dunque, il punto di caduta per uscire dal braccio di ferro sulla task force. La vera domanda è: a Renzi basterà?