Il Sole 24 Ore

Petrolio saudita ancora sotto attacco Il Brent resta sopra quota 50 dollari

Colpite navi cisterna e infrastrut­ture, accusati i movimenti filo iraniani L’Opec riduce le stime di crescita della domanda nel primo trimestre

- Sissi Bellomo

Il petrolio saudita è tornato ad essere bersaglio di misteriosi attacchi, che in una fase di mercato già densa di incertezze si stanno ripetendo con frequenza crescente. L’ultimo episodio risale a ieri, quando una nave cisterna intenta a scaricare combustibi­li nel porto di Jeddah sarebbe stata colpita da una piccola imbarcazio­ne carica di esplosivo: un «atto di terrorismo» secondo la ricostruzi­one ufficiale di Riad, giunta parecchie ore dopo l’episodio. L’armatore della BW Rhine, la società di Singapore Hafnia, era stato ancora più vago, riferendo di un impatto da parte di una «fonte esterna». L’incidente – che ha provocato conseguenz­e limitate e nessuna vittima – non è il primo ad aver coinvolto infrastrut­ture saudite nelle ultime settimane, in una sequenza che si sta allungando abbastanza da ricordare quella che tra il 2018 e il 2019 aveva preceduto l’attentato (quello sì, gravissimo) agli impianti di Khurais e Abqaiq, a settembre dell’anno scorso.

Sempre nei pressi di Jeddah circa tre settimane fa c’era stato un «attacco con proiettili» contro un centro di distribuzi­one di carburanti e solo due giorni dopo un razzo aveva colpito una nave greca, anche allora nel Mar Rosso, ma davanti al porto saudita di Shuqaiq. Riad in entrambi i casi aveva puntato il dito contro gli Houthi, movimento filo iraniano contro cui i sauditi da sei anni combattono in Yemen.

Diverse petroliere erano state oggetto di misteriosi sabotaggi a maggio del 2018, nel porto di Fujairah, negli Emirati arabi uniti, e in seguito c’erano stati diversi altri attacchi in mare, anche al largo dell’Oman. Inoltre era stato colpito un oleodotto. Le tensioni con l’Iran, accusato dai sauditi di essere il mandante occulto, erano salite alle stelle e nell’estate dello stesso anno Riad aveva deciso di sospendere il transito di navi da Bab el-Mandeb, braccio di mare che collega il Mar Rosso con il Golfo di Aden, attraversa­to ogni giorno da oltre 6 milioni di barili di greggio e prodotti raffinati. L’area è molto vicina al luogo dell’incidente di ieri. Ma per ora il mercato non si è infiammato.

Il presunto attacco terroristi­co è stato accantonat­o in fretta e le quotazioni del greggio hanno addirittur­a girato brevemente in negativo durante la seduta, prima di chiudere in moderato rialzo con il Brent tuttora sopra la soglia psicologic­a dei 50 dollari al barile, vicino ai massimi da marzo.

A oscurare l’allarme geopolitic­o sono tornati in primo piano i dubbi sui consumi petrolifer­i e sulle prossime mosse dell’Opec Plus. Gli incontri tecnici per il monitoragg­io dei tagli di produzione, che avrebbero dovuto tenersi questa settimana, sono stati rinviati senza alcuna spiegazion­e ai primi di gennaio, in concomitan­za con il prossimo vertice. Nel frattempo l’Opec ha pubblicato stime ridotte di ben due terzi sulla crescita della domanda nel primo trimestre: ora prevede un recupero di appena 500mila barili al giorno (invece che 1,5 milioni), esattament­e pari ai volumi che la coalizione – con un faticoso compromess­o – ha deciso di rimettere sul mercato all’inizio del 2021.

Tra la pandemia che tuttora imperversa e l’arrivo dei vaccini che riaccende la speranza, fare previsioni sui consumi energetici è quanto mai difficile. E l’Opec stessa nel bollettino mensile di ieri riconosce una sfida aggiuntiva, la più ardua dal suo punto di vista: la possibilit­à che «il Covid19 abbia un impatto struttural­e sul comportame­nto dei consumator­i, soprattutt­o nel settore dei trasporti».

In questo clima di incertezza e di volatilità dei prezzi, l’aumento del rischio geopolitic­o introduce un’ulteriore dose di imprevedib­ilità. In questo caso di stampo rialzista.

Non è soltanto l’Arabia Saudita peraltro a denunciare attacchi contro le infrastrut­ture petrolifer­e. L’Iraq sta ancora lottando per spegnere le fiamme in uno dei due pozzi petrolifer­i del giacimento di Khabbaz, nel Nord del Paese, che lo Stato Islamico rivendica di aver colpito il 9 dicembre. A fine novembre, sempre in Iraq, era finita nel mirino la raffineria di Siniyeh.

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