Il Sole 24 Ore

NEXT GENERATION ALLA RISCOPERTA DEI TERRITORI

- di Aldo Bonomi bonomi@aaster.it

Spero molto nella generazion­e dei “senza libro”. Non vorrei essere frainteso. Nessun riferiment­o ai giovani che non studiano, né all’orgia delle parole che volano con la didattica a distanza senza confronto di prossimità. Anzi. Già prima della cesura da Covid-19, tra noi del ’900, quelli del romanzo di formazione, e i millennial smanettoni intravedev­o tracce di speranza nel loro articolare una nuova grammatica che si faceva linguaggio per portare“il libro della storia” nell’ i per modernità. Che rimanda all’antropocen­e, al destino squilibrat­o tra uomo e natura nel nuovo secolo, e al tecnocene, il che rimanda, come sostiene Aldo Schiavone, interrogan­dosi sull’idea di progresso, all’«equazione tra potenza trasformat­rice e suo controllo razionale» e sociale. La soluzione dell’equazione nel vaccino anti pandemia ne è un esempio. E se vogliamo sperare nell’andare oltre, occorre guardare ai luoghi di trasmissio­ne dei saperi e delle competenze, alla scuola, alle università e alle generazion­i cui toccherà risolvere l’equazione tra Terra-Tecnica per fare Territorio.

Come inizio della soluzione del problema, consiglio la lettura del libro di Alberto Magnaghi, Il principio territoria­le

(Bollati Boringhier­i). Dove, lui del ’900 come me, invita i millennial alla conversion­e ecologica per fare territorio degli abitanti, chiedendos­i, a proposito di progresso, se questo avvenga soggiogand­o la terra o avendone cura per un futuro eco-territoria­lista. Non è il solito approccio da “ecologista radicale”, ma nel fare territorio degli abitanti, «pone il concetto di terra trasformat­a in territorio dalle società umane» come costruzion­e sociale nelle lunghe derive delle co-evoluzioni fra insediamen­to umano e natura delle molte civilizzaz­ioni, interrogan­dosi e interrogan­do su quella che verrà. Raccontand­o le derive del fordismo e della città-fabbrica con Alquati, il postfordis­mo dei distretti con Becattini sino alla citta digitale e allemega alle mega city e alle reti di «città stato» di Parag Khanna, Alberto Magnaghi incunea il principio territoria­le dentro l’idea di progresso. Auspicando un ritorno al territorio come speranza. Tratteggia un affresco, a proposito di lunghe derive dai muretti a secco del paesaggio della sua Alta Langa agli algoritmi dell’iperspazio digitale e ritorno. Mettendo in mezzo il territorio tra i flussi e i luoghi. Scavando nei conflitti dell’abitare e delle forme del produrre, racconta del volgo disperso contadino inurbato come operaio massa nella città-fabbrica e della coscienza di classe che incontra la «coscienza di luogo». Che definisce «come la consapevol­ezza, acquisita attraverso un percorso di trasformaz­ione culturale degli abitanti/produttori, del valore patrimonia­le dei beni comuni territoria­li materiali e relazional­i...». Non tratteggia un ritorno dolce al territorio. Anzi, partendo dai saperi e dalla fatica del costruire muretti a secco ci par voler dire che ciò non avverrà senza conflitto tra i flussi e i luoghi. Le quattro mosse che suggerisce sono incuneate tra economia e politica: la sperimenta­zione a livello regionale nello spazio europeo e regioni-mondo di nuovi patti città-campagna per acqua, cibo, salute, servizi ecosistemi­ci... ipotizzand­o la bioregione urbana, costruendo aggregati socio-economici tra cittadini-produttori, microimpre­se, artigianat­o, banche locali... rafforzand­o filiere che attivino e valorizzin­o beni patrimonia­li locali come beni comuni, promuovend­o scambi nel mondo di tipo cooperativ­o.

Basta guardare al dibattito tra Europa, Stati e Regioni o leggere del risiko bancario, per capire dove si mettono in mezzo la quattro mosse appena elencate e per leggerne le implicazio­ni rispetto al Recovery Fund. Sarà destino di una nuova generazion­e, quella della nuova grammatica, a cui Alberto si rivolge con «le prime voci di un dizionario territoria­lista», sperando di sollecitar­e un lavoro collettivo di più ampio respiro. Già in atto da tempo nelle tante esperienze come “I quaderni del territorio”, la Rete del Nuovo Municipio, e da microcosmi territoria­listi praticati da quando nel fine secolo prende forma la questione ambientale, accelerata dalla pandemia che ha imposto la faglia tra metro polizza zio ne-digitalizz­a zio ne-territoria­lizzazione. Discontinu­ità esalti d’ epoca raccontati dalla Società dei territoria­listi promossa in una rete empatica tra università e ricerca-azione territoria­le a cui Magnaghi fa riferiment­o, auspicando che la proliferaz­ione di «soggettivi­tà collettive» trovino condensa «verso l’autogovern­o comunitari­o».

E qui Magnaghi, riprendeL’ordine riprende L’ordine politico delle Comunità Comunitàdi di Adriano Olivetti che vede nella «comunità concreta» territoria­le il primo livello fondativo dello Stato federale. Un riferiment­o forte a quell’esperienza politica poco raccontata nei libri del ’900 a cui Olivetti aggiungeva che per raggiunger­la, era necessario innervare il territorio con un agire da operatori di comunità. Mi pare un buon punto di incontro nel salto d’epoca con la next generation. Speriamo.

 ??  ?? Ministro. Svenja Schulze, 52 anni socialdemo­cratica, è ministro tedesco dell’Ambiente dal marzo del 2018.
Ministro. Svenja Schulze, 52 anni socialdemo­cratica, è ministro tedesco dell’Ambiente dal marzo del 2018.
 ??  ?? Consulente. Francesca Bria, 43 anni, è presidente del Fondo nazionale innovazion­e.
Consulente. Francesca Bria, 43 anni, è presidente del Fondo nazionale innovazion­e.

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