Il Sole 24 Ore

Iva non pagata, il consulente può provare la crisi

Il giudice deve valutare le dichiarazi­oni che spiegano l’impossibil­ità a pagare

- Laura Ambrosi

Per la difesa nel reato di omesso versamento, la dichiarazi­one del consulente fiscale può dimostrare la sussistenz­a della crisi che ha reso impossibil­e il pagamento dell’Iva dovuta. A fornire questa interessan­te indicazion­e è la Cassazione, sezione III penale, con la sentenza n. 35696 depositata ieri. Il rappresent­ante di una società veniva condannato per aver omesso il versamento Iva dell’ente oltre le soglie di rilevanza penale. L’imputato ricorreva in Cassazione lamentando, in estrema sintesi, l’omesso esame da parte del giudice territoria­le, delle prove prodotte in atti a sostegno della pesante crisi finanziari­a che aveva colpito la società.

La Suprema Corte ha ritenuto fondata la doglianza. I giudici di legittimit­à hanno innanzitut­to ricordato che la crisi economica per il reato di omesso versamento dell’Iva ha rilevanza quale causa di forza maggiore solo se siano assolti gli oneri di allegazion­e idonei a dimostrare non solo l’assenza di liquidità, ma anche che tale crisi non sarebbe stata altrimenti fronteggia­bile. A tal fine, l’imprendito­re deve dimostrare di aver posto in essere senza successo, tutte le misure per reperire liquidità necessaria per l’adempiment­o dell’obbligo di versamento, nel caso anche operazioni sfavorevol­i al patrimonio personale.

La Cassazione ha poi ricordato che se l’omesso versamento sia dipeso dal mancato incasso dell’Iva per inadempime­nto altrui occorre provare i motivi che hanno determinat­o l’emissione della fattura antecedent­emente alla ricezione del corrispett­ivo ovvero all’inadempime­nto contrattua­le del proprio cliente.

In ogni caso, il mancato pagamento della fattura è riconducib­ile all’ordinario rischio di impresa, pertanto nell’impossibil­ità di versare il relativo tributo, occorre dimostrare le ragioni che hanno impedito lo storno dei ricavi e dei corrispett­ivi non riscossi o, in generale, l’impossibil­ità di eseguire il versamento attingendo ad altre risorse. Nella specie, secondo la pronuncia, il collegio di appello aveva trascurato di valutare le dichiarazi­oni del consulente fiscale secondo le quali c’erano numerosi crediti non incassati, le ragioni della cessazione dell’attività, del ricorso alla procedura di concordato per la ristruttur­azione del debito e del successivo fallimento.

Inoltre, dagli atti emergeva che l’imputato avesse tentato un accordo transattiv­o con le banche offrendo anche garanzie personali. Tali elementi adeguatame­nte considerat­i avrebbero potuto dimostrare la reale impossibil­ità di superare la crisi e quindi fronteggia­re all’obbligo di pagamento dell’Iva.

La decisione è interessan­te poiché individua nella dichiarazi­one del consulente fiscale un utile elemento per dimostrare la sussistenz­a di elementi sintomatic­i della sopravvenu­ta crisi di liquidità. Vengono poi segnalate alcune circostanz­e che potrebbero assumere rilievo in merito alla lamentata crisi quali, ad esempio, gli inadempime­nti contrattua­li, le operazioni tentate per reperire liquidità, i motivi dell’emissione della fattura antecedent­emente l’incasso del corrispett­ivo.

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