Robot in risalita dopo il crollo: «Corsa a doppia cifra nel 2021»
Alla caduta di 24 punti dei risultati 2020 seguirà un rimbalzo del 16,6% Colombo (Ucimu): «Avanti con il piano 4.0, con bonus da stabilizzare»
Un miliardo e mezzo di produzione in meno, che riporta il settore ai livelli del 2014. È il bicchiere mezzo vuoto dei costruttori italiani di macchine utensili, che nelle stime 2020 vedono svaporare quasi un quarto della propria produzione. Dati un poco migliori rispetto a quanto ipotizzato mesi fa, che nell’analisi dell’ufficio studi di Ucimu-Sistemi per produrre vedono ora una migliore tenuta delle esportazioni (-20%) rispetto alle consegne sul mercato interno, in caduta di 28 punti per effetto di una drastica riduzione del consumo italiano, stimato in frenata di oltre 30 punti. Il bicchiere mezzo pieno è però nelle prospettive, che sulla base degli ordini acquisiti, non soddisfacenti ma comunque oltre le attese negli ultimi mesi, vedono in generale un rimbalzo deciso nel 2021. La produzione crescerà infatti del 16,6%, aggiungendo quasi un miliardo ai valori 2020.
Risultato di uno scatto superiore nel mercato nazionale (+23,2% per le consegne interne), meno brillante invece dal lato dell’export, visto in ripresa solo dell’11,8%. «Le limitazioni alla mobilità delle persone sono ancora ben presenti - spiega la presidente di Ucimu Barbara Colombo - e per questo rimaniamo prudenti nelle stime, anche se la diffusione dei vaccini faciliterà il ritorno alla normalità.
Decisivo, perché in questi mesi siamo riusciti a raccogliere numerosi ordini ma soprattutto dai clienti che già ci conoscono. Per i quali una videoconferenza è sufficiente, avendo già acquistato e sperimentato le nostre macchine. Ben più complicato è però acquisire in modalità “remota” clienti nuovi, per i quali il contatto diretto resta cruciale. Oggi siamo ancora ben lontani dalla normalità: nelle mia azienda le visite di clienti e fornitori che hanno previsto almeno un pernottamento nel 2019 sono state 2300, quest’anno da febbraio solo 27. Comunque, anche se siamo lontani dai livelli pre-crisi, le previsioni fanno ben sperare il futuro prossimo». Osservando la serie storica della produzione del settore sono evidenti due aspetti. Da un lato il senso della rilevanza della crisi, che abbatte di quasi un quarto l’output di settore riportando indietro le lancette al 2014. Dall’altro, tuttavia, la certezza di essere stati in grado di superare momenti ben peggiori, guardando a quanto accaduto nel 2009. Quando la produzione perse quasi due miliardi, un terzo del totale. E riuscì a risalire ai livelli pre-crisi solo nel 2017, grazie alla spinta del piano Industria 4.0, la cui conferma è ormai imminente. «L’industria di settore - spiega Barbara Colombo - riprenderà a lavorare con un ritmo sostenuto aiutata in questo anche dalle misure di incentivo del Piano Transizione 4.0 inserito nella Legge di Bilancio 2021. Con questa conferma le autorità di governo hanno dimostrato di aver ben compreso il valore del programma, anche perché hanno previsto il potenziamento delle misure in esso contenute, alzando le aliquote, i tetti di spesa e la durata dell’operatività fissata a fine 2022». Se l’impianto generale è apprezzato, le imprese chiedono tuttavia correttivi non marginali, sia in termini temporali che contenutistici.
«Pur apprezzando l’estensione fino al 2022 della validità delle norme - spiega Colombo - crediamo che un biennio sia ancora un periodo troppo breve per assicurarne la piena efficacia. Come già più volte abbiamo segnalato occorrerebbe trasformare il credito di imposta per gli investimenti in macchinari, tradizionali o interconnessi, in misure strutturali o almeno con una durata quinquennale, così da permettere realmente alle imprese una corretta pianificazione degli investimenti. Con riferimento alla scelta dei provvedimenti a disposizione delle imprese riteniamo che il credito di imposta sia la misura più adeguata perché di semplice utilizzo e applicabile anche alle imprese che non hanno utili. Avremmo però preferito che il piano prevedesse una doppia via, aggiungendo al credito di imposta le misure già conosciute di super e iperammortamento (che garantiscono un beneficio fiscale simile a quello del credito di imposta), con l’obiettivo di lasciare le imprese libere di scegliere il provvedimento più adatto alla propria situazione». Un plauso è invece riservato al capitolo formazione, con la scelta del Governo di inserire nel calcolo del credito di imposta, oltre al costo delle ore del personale per il tempo impiegato nell’attività di aggiornamento, anche il costo del formatore. Perché soprattutto per le Pmi - ricordano le imprese - il docente rappresenta senza dubbio la voce di costo più rilevante.
Se gli incentivi sul fronte 4.0 sono mediamente considerati come la via maestra per l’aumento della competitività del sistema in termini di dotazioni fisiche, la “gamba” mancante è quella degli stimolo alla crescita dimensionale delle imprese, forse il nodo principale dell’apparato produttivo nazionale, caratterizzato dal peso preponderante delle Pmi. «In questo nuovo scenario competitivo internazionale - conclude Barbara Colombo - il potenziamento delle aziende, anche tramite fusioni e/o incorporazioni, diviene una indifferibile necessità. La difficoltà di realizzare queste operazioni non è solo psicologica, come si diceva un tempo, ma, al contrario, è connessa al valore dell’importo che va versato per i plusvalori che si dovranno realizzare nel momento dell’aggregazione. Per incentivare queste operazioni, i risultati economici delle fusioni e/o incorporazioni, devono essere resi neutri rispetto alle imposte».