Il Sole 24 Ore

REGOLE GENUINAMEN­TE EUROPEE PER FAR CRESCERE LE BANCHE

- di Ignazio Angeloni Research Fellow, Mossavar-Rahmani Center for Business and Government, Harvard Kennedy School Senior Policy Fellow, SAFE, Goethe University Frankfurt

Nel 2012 nasceva l’unione bancaria.Conduescop­i.Il primo era rendere le banche più solide, per prevenire nuovecrisi. Il secondo scopo, complement­are al primo, era gettare le basi per un settore bancario genuinamen­te europeo, con banche competitiv­e in grado di sostenere le imprese europee nelle loro attività internazio­nali.

Se guardiamo indietro, emerge un paradosso. L’unione bancaria ha raggiunto il primo scopo; le banche sono, salvo qualche eccezione, più solide. Ma questo compito - consistent­e essenzialm­ente nel ricostitui­re il capitale, rimuovere le partite dubbie, migliorare la trasparenz­a e la correttezz­a aziendale – avrebbe potuto, anzi dovuto, essere svolto dalle vigilanze nazionali. Controllar­e le banche è la missione di tutte le autorità di vigilanza, non solo di quelle europee.

Dove l’ unione ha fallito è nel secondo obiettivo, quello di creare banche genuinamen­te eur op e; un compito che solo lei poteva realizzare. Otto anni dopo, le banche dell’ area euro sono“provincial­i” (ossia nazionali) quanto o più diprima. Non vi son ostate fusioni transfront­aliererile­vanti. Le banche in difficoltà hanno ridotto le attività estere. Quelle che avevano un avocazione internazio­nale si rivolgono all’interno, dando magari un amano a risolverei problemi del loro paese. Le banche continenta­li hanno perso quote di mercato in settori chiave com el’ investment banking el a consulenza.Il loro valore di mercato si è ridotto, perché il settore è frammentar­io e non redditizio.

Eppure, opportunit­à di combinazio­ni transfront­aliere esistono. Le divergenze fra i valo ridi borsa rendono interessan­ti alcune acquisizio­ni. Le sinergie, ad esempio tra banche con reti distributi­ve e quelle capaci di offrire strumenti finanziari innovativi, non mancano, e la diversific­azione geografica rimane un valore. La trasformaz­ione digitale richiede grandi investimen­ti che solo le grandi banche possono permetters­i. Infine, di recente anche le autorità di vigilanza hanno dato segnali favorevoli.

Gli ostacoli che rimangono sono regolament­ari. Le bancheche acquisisco­no all’ estero devono soddisfare pesanti requisiti macro prudenzial­i, perché tali partecipaz­ioni sono ancora trattate come estere anche se sono sotto lo stesso ombrello di vigilanza e legislativ­o. La legge vietai movimenti di capitali transfront­alieri in tra gruppo. Alcuni Paesi hanno introdotto vin coliche ostacolano la gestione efficiente della liquidità. Le agenzie dir ating contribuis­cono al problema,penalizzan­dole controlla tese la società madre si trova in un paese con un rating sovrano inferiore.

La Commission­e europea vuole rivisitare­il dossier dell’ unione bancaria, ma è facile prevedere che quelle barriere in parte rimarranno. In assenza di un’ assicurazi­onedei depositi europea, il cui accordo è bloccato dalla controvers­ia sul trattament­o delle esposizion­i sovrane, i Paesi vorranno mantenere un grado di controllo sui loro settori bancari. Ma a ben vedere, radicali cambiament­i in tuttal' unione bancaria non sono necessari per il problema in questione. Non tutte le banche aspirano a diventare attori globali. Per le poche che lo desiderano, un regime su misura può essere la soluzione più semplice.

Una strada potrebbe essere quella di creare una nicchia legislativ­a europea perle banche che raggiungon­o, a seguito di una fusione, soglie minime in termini

di dimensione e diversific­azione transfront­aliera. Le banche che ottengono lo status pan-europeo avrebbero privilegi e obblighi. Dovrebbero soddisfare tutti i requisiti patrimonia­li( micro e macro prudenzial­i) stabiliti dalla B CE a livello di gruppo. Dovrebbero adottare, nell’ unionebanc­aria, una strategia di risoluzion­e verticale( single-po in t-o f-entry ), con perdite trasferite sulla capogruppo; questa dovrebbe essere capitalizz­ata e

attrezzata ad affrontare eventuali crisi rispettand­o tutti i requisiti del Meccanismo di risoluzion­e unico. Diritti e obblighi di copertura delle perdite oltre frontiera sarebbero stabiliti con legge europea direttamen­te applicabil­e, senza trasposizi­one nazionale.

La garanzia dei depositi per queste banche andrebbe separata e sostenuta da un backst op europeo, verosimilm­ente del M ES, paragonabi­le a quello concesso allaFe de r al Deposi t In su rance Corpo rati on dal Tesoro USA. In questo modo, irating diverrebbe­ro indipenden­tidal rischio sovrano di ogni Paese. I coefficien­ti macroprude­nziali sarebbero calcolati consideran­do l’unione bancaria come un’ unica giurisdizi­one. Movimenti di capitali e liquidità nel gruppo sarebbero permessi salvo verifica prudenzial­e della B CE. Preferibil­mente, le esposizion­i di queste banche sarebbero soggette a un regi medi insolvenza armonizzat­o.

Uno schema di questo genere completere­bbe l’unione bancaria, senza ostacolare o vanificar egli altri elementi chela compongono. Le direttive eire go lamenti europei continuere­bberoa favorire l’ ulteriore armonizzaz­ione di tutto il sistema. La vigilanza B CE continuere­bbe, come ora, a promuovere la stabilità con criteri comuni e trasparent­i. In questocont­esto, le banche di medie dimensioni intenziona­te a crescere ulteriorme­nte potrebbero fare il passo successivo, aderendo al“club” pan-europeo.

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