Conte e Di Maio in Libia, pescatori liberi
L’opposizione critica il riconoscimento politico offerto al generale Haftar
Liberati ieri a Bengasi, i pescatori italiani rientrano sulle loro imbarcazioni per l’Italia. Ma il viaggio dal generale Haftar del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e del ministro degli Affari esteri Luigi Di Maio, avrà strascichi politici lunghi, viste le polemiche.
Gli otto italiani, sei tunisini, due indonesiani e due senegalesi, torneranno a casa con i loro due pescherecci Antartide e Medinea. La trattativa tra Haftar e l’Italia ha avuto un’accelerazione la settimana scorsa. Il dialogo con il generale libico è stato svolto di continuo da Gianni Caravelli, direttore dell’Aise (agenzia informazioni e sicurezza esterna). Caravelli conosce Haftar così bene da riuscire a convincerlo, il 12 novembre 2018, quando aveva già dato forfait, a venire alla conferenza di Palermo dove c’era il rivale Serraj.
I 18 pescatori erano rinchiusi a Bengasi dal primo settembre, accusati di aver sconfinato nelle acque libiche. «Il governo continua a sostenere con fermezza il processo di stabilizzazione della Libia. È ciò che io e il presidente Giuseppe Conte abbiamo ribadito oggi stesso ad Haftar, durante il nostro colloquio a Bengasi» ha sottolineato Di Maio.
Quello di Conte e Di Maio è stato un atto notevole sul piano politico diplomatico. Non si ricorda un viaggio di un presidente del Consiglio italiano per essere ricevuto da un leader di uno stato autore di un sequestro di nostri connazionali.
Ma Conte ha giocato sull’effetto comunque positivo e incontestabile della notizia della liberazione dopo oltre cento giorni di prigionìa. L’opposizione però lo ha atttaccato. Molto duro il comunicato del presidente del Copasir (il comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica) Raffaele Volpi (Lega): «Un mio sincero e affettuoso ringraziamento al generale Caravelli e al personale dell’Aise per la costante dedizione e il determinante lavoro svolto. Unicamente a loro va la mia sentita gratitudine». Eppure c’è anche il lavoro della diplomazia, con l’ambasciatore in Libia Giuseppe Buccino. E altre scelte fondamentali comunque politiche: come la decisione di respingere la richiesta libica di liberare quattro presunti calciatori, a detta di Haftar, in realtà accertati scafisti, detenuti in Italia, condannati in secondo grado a 30 anni.
I quattro - Joma Tarek Laamani, 24 anni, Abdelkarim Al Hamad, 23 anni, Mohannad Jarkess, 25 anni e Abd Arahman Abd Al Monsiff, 23 anni - furono arrestati in Sicilia nel 2015, accusati della morte di 49 migranti nella cosiddetta strage di Ferragosto. Stando al racconto dei migranti che viaggiavano con loro, la notte della strage «con calci, bastonate e cinghiate» avrebbero bloccato molti disperati nella stiva dell’imbarcazione. La loro liberazione da parte dell’Italia era inconcepibile.
Nella trattativa per i pescatori sarebbero entrati anche - in modo più defilato - il leader egiziano Al Sisi, i francesi, i tunisini, perfino Ahmed Maiteeg, vicepremier del governo di Serraj, rivale di Haftar. Il prezzo della liberazione, insomma, ufficialmente sarebbe il riconoscimento politico compiuto da Conte e Di Maio con il viaggio a Bengasi. L’opposizione ha protestato, la maggioranza finora ha esultato tutta per la liberazione. Ma i prossimi giorni potrebbero riservare sorprese. È stata una trattativa «lunga e complessa» ha confermato il ministro della Difesa Lorenzo Guerini, condotta «in silenzio e con professionalità» dalla nostra intelligence. Proprio mercoledì c’era stato a palazzo Chigi un vertice sulla Libia, Caravelli veniva da una serie continua di viaggi Roma-Bengasi. Una trama fitta e continua di interazioni con Haftar. E il successo finale.