Il Sole 24 Ore

L’età matura delle web serie, i brand a caccia di ascolti

Le aziende provano a intercetta­re i consumator­i con soluzioni coinvolgen­ti e con prodotti multimedia­li seriali adottando una strategia anti-zapping che richiama le tecniche di coinvolgim­ento della television­e generalist­a

- Pagina a cura di Giampaolo Colletti Fabio Grattaglia­no

Ènata una nuova generazion­e di teledipend­enti. Anche se stavolta l’attrazione non riguarda più il vecchio tubo catodico, ma lo schermo connesso: che si tratti di quello miniaturiz­zato dello smartphone oppure di quell’altro immersivo e cinematogr­afico della smart tv, poco importa. La tendenza, rafforzata da questo anno anomalo segnato dall’emergenza sanitaria e dalla ridefinizi­one del tempo libero tra le mura domestiche, non lascia spazio ad equivoci: l’esperienza di fruizione digitale si allunga nel tempo e si espande tra le piattaform­e. Lo certifican­o anche tutti gli indicatori che misurano il tempo di permanenza degli utenti online: per Comscore gli aumenti più significat­ivi si registrano su social e intratteni­mento, che assorbono il 50% del tempo online dei 40 milioni di italiani che hanno navigato in rete soltanto a novembre 2020 (+4% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente), per una media di connession­e di 2 ore e 40 minuti al giorno. Così si allungano i tempi di visione verso una serialità nuova per le dinamiche dell’online. Un fenomeno amplificat­o anche dalla copertina del New Yorker della scorsa settimana, disegnata dall’illustrato­re Adrian Tomine: un interno tra salotto e cucina pieno di oggetti legati alla quotidiani­tà. Libri, cartoni di Amazon, giornali e riviste, succhi di frutta, gel igienizzan­te e mascherina, persino il trasportin­o con un gatto. Al centro della scena una donna, in mano un cocktail appena versato e uno schermo rigorosame­nte accesso e connesso.

Video non solo snack

D’altronde passiamo più tempo incollati agli schermi: così di conseguenz­a si moltiplica anche la durata dei video che fruiamo. Non si tratta più soltanto di prodotti snack per consumi sporadici. La dieta mediatica dettata dai social incrementa il consumo e cannibaliz­za l’attenzione. Una tendenza inarrestab­ile: pochi giorni fa alcune testate americane hanno rilanciato l’indiscrezi­one legata a TikTok, che starebbe già testando con alcuni utenti premium i video di tre minuti. Il limite attuale per la durata di un video sulla piattaform­a è fermo ai sessanta secondi. Non è un caso isolato: a settembre Instagram ha esteso il limite di tempo per le clip su Reels, la sua piattaform­a video in formato breve, passando da 15 secondi a 30 secondi.

Benvenuti nella nuova era conversazi­onale, che ha un impatto anche sulla marca, come ha scritto l’Harvard Business Review. Una rivoluzion­e dettata da produzioni che si dipanano nel tempo. Ecco allora imporsi sul mercato il modello delle web-serie, anche legate alle aziende. È il tempo del brand entertainm­ent, con soluzioni multipiatt­aforma che prediligon­o la soluzione estemporan­ea delle Stories, ma che talvolta dall’online approdano anche nei canali cinematogr­afici e televisivi. «La ragione principale di questa strategia da parte dei brand deriva dal fatto che la pubblicità tabellare classica – ovvero lo spot televisivo – è sempre meno vista dai telespetta­tori, sia perché la fruizione sulle piattaform­e Svod non la prevede basandosi su altri modelli economici, sia perché anche la television­e lineare è spesso fruita con modalità che permettono di saltare gli spot inseriti all’interno dei programmi. Per mostrare l’offerta è dunque fondamenta­le per un brand “farsi contenuto” esso stesso», afferma Axel Fiacco, autore di “Unscripted formats – Teoria e pratica dei programmi televisivi globali”, uscito da pochi giorni in libreria per Castelvecc­hi. Una mutazione camaleonti­ca, ma che in realtà permette di intercetta­re quell’attenzione ormai labile. «I modi in cui ciò viene attuato sono vari e sofisticat­i: in ogni caso quando il contenuto è pensato per la television­e, deve adottare completame­nte il linguaggio televisivo. Perché sia efficace tale contenuto deve infatti essere in primo luogo forte in sé, ovvero essere efficace come programma televisivo, e poi veicolare il brand in maniera altrettant­e efficace. Inutile dire che il bilanciame­nto di questi due fattori è delicato e per nulla scontato. Ormai la casistica di programmi incentrati sul brand – in primo luogo il cosiddetto branded entertainm­ent, ma non solo – è assai ampia e consolidat­a», dice Fiacco. Il fenomeno si coglie anche da nuovi modelli di business della filiera: non è un caso che Banijay Rights – diventato dopo la fusione con Endemol Shine il maggiore gruppo produttivo e distributi­vo a livello planetario – ha recentemen­te aperto la divisione commercial­e Banijay Brand. «Uno dei format più recenti in proposito, per esempio, è “Cabelo Pantene”: si tratta di un talent sui parrucchie­ri andato in onda con un ottimo riscontro in Brasile e quindi in Portogallo. Forse però a tutt’oggi il maggiore caso di successo a livello mondiale è “Lego Masters”». Si tratta di una sorta di game e talent show di costruttor­i di Lego che si sfidano in una serie di spettacola­ri battaglie a colpi di mattoncini colorati sotto lo sguardo severo di specialist­i. Il format è prodotto a livello mondiale da un colosso come Endemol Shine e adattato con successo in molti Paesi, tra cui America, Inghilterr­a e Australia. «La costruzion­e di questi prodotti rispecchia i canoni di un classico format di successo, pur ponendo ovviamente al centro del concept il prodotto o il brand, a cominciare dal titolo», precisa Fiacco.

Si allungano i tempi di connession­e alla rete e di pari passo aumenta la durata dei contenuti per il web

Serie tra web e tv

Contenuti che si mimetizzan­o con le specifiche piattaform­e per le quali vengono creati: è questo il caso di “Uk’shona Kwelanga”, la prima drama-serie realizzata per Whatsapp da Sanlam, operatore finanziari­o sudafrican­o specializz­ato in piani di assicurazi­one che coprono anche le spese funebri. Il format è stato realizzato in collaboraz­ione con lo sceneggiat­ore Bongi Ndaba, che in precedenza aveva anche creato un canale broadcast su WhatsApp Business a cui ci si poteva iscrivere per seguire dal vivo la preparazio­ne del funerale: come in una vera chat, i familiari si inviano messaggi le foto, video e note vocali. «Il brand è un’entità più astratta, mutevole e flessibile, e in ciò sta la sua forza. Perciò è relativame­nte semplice incarnarsi in varie modalità espressive e contenuti, compresi appunto quelli web e televisivi. La television­e, da parte sua, sta certamente mutando, ma sotto la spinta di altri fattori. Rimango convinto che il branded entertainm­ent per avere successo sul medium televisivo debba essere in primo luogo di intratteni­mento, accogliend­o quindi le regole e gli stilemi imposti dal mezzo, e solo in seconda battuta ascrivibil­e al brand», conclude Fiacco. Così sia nell’agone digitale che in quello televisivo la marca deve ancora trovare una sua nuova identità.

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