UNA SVOLTA CHE È SOLO L’ANTICAMERA DI UN NEGOZIATO DA DEFINIRE
Forse sarà la volta buona. Forse, dopo 7 anni di faticosissimi negoziati, Europa e Cina troveranno l’accordo globale sugli investimenti, cioè sulle chiavi di accesso ai rispettivi mercati su basi paritetiche e chiare per le rispettive imprese.
Sarebbe una rivoluzione copernicana: per la prima volta dal suo ingresso nella Wto nel lontano 2001, il colosso cinese diventerebbe un Paese “normale”, capace di giocare con concorrenti e partner ad armi pari, in modo trasparente e secondo regole codificate dentro e fuori casa. Basta discriminazioni, sussidi di Stato a tappeto, rapine di tecnologia e concorrenza sleale diffusa.
Davvero la svolta è dietro l’angolo? Di sicuro per ora c’è l’accelerazione di trattative che sembravano irrimediabilmente incagliate e c’è la dichiarata volontà comune di chiuderle entro l’anno.
Più che a un negoziato, l’operazione assomiglia però a un esercizio acrobatico in cui complessi equilibrismi politici, economici, strategici, tecnologici, commerciali e persino temporali devono fondersi in un accordo bilaterale, costretto a fare i conti anche con un ingombrante “terzo incomodo”, l’America di Joe Biden che si insedierà il 20 gennaio. Forse perché i tempi sono strettissimi e la posta altissima, la scommessa potrebbe riuscire.
La Cina ha ritrovato la crescita post-Covid ma ha un disperato bisogno di mercato e buoni rapporti con l’Europa per compensare il sempre più esplicito antagonismo strategico degli Stati Uniti che con Biden si farà magari più gentile nei modi ma non nella sostanza. Per cercare di rompere l’isolamento politico che segue l’assalto a Hong Kong, lavori forzati degli uiguri, diritti umani violati, ricatti e minacce a partner poco collaborativi, Australia per fare un nome. Per allargare, dopo l’accordo RCEP tra i 15 maggiori paesi dell’Asia, la propria influenza in Europa creando un enorme blocco economico globale. Per incunearsi nel rapporto transatlantico dividendone i protagonisti. Per sfruttare il know-how tecnologico dell’Unione europea e neutralizzare i propri ritardi e i crescenti boicottaggi americani.
Anche se ha perso molti entusiasmi e maturato diffidenze tanto da considerarla ormai un “rivale sistemico” e aver eretto barriere a difesa delle proprie imprese strategiche, l’Europa resta attratta dallo sterminato mercato della Cina, che quest’anno è diventata il suo primo partner commerciale superando gli Stati Uniti. Insegue l’equidistanza per non farsi stritolare dall’antagonismo Usa. Vorrebbe
quindi, come Pechino, chiudere in fretta la partita.
L’Europa sa però di muoversi su un crinale molto scivoloso: perché il patto con la Cina non può compromettere la ricucitura del rapporto euro-americano. E perché anche in sede Nato l’ascesa della Cina, con il secondo maggiore bilancio della Difesa del mondo e i massicci investimenti in capacità, armi e tecnologie militari avanzate, oggi richiede più che mai, sottolinea il segretario generale dell’Alleanza atlantica Jens Stoltenberg, l’unità europea e transatlantica.
Del resto che Pechino sia un partner difficile che prende molto e restituisce poco, lo sa bene anche la Germania di Angela Merkel, che vuole il patto sugli investimenti ma si è vista costretta appena dieci giorni fa a bloccare «per motivi di sicurezza» la vendita alla cinese Emst della Imst, società tedesca di alta tecnologia nella difesa, comunicazioni satellitari, sviluppo 5G e 6G.
Per tutte queste ragioni, se come sembra arriverà nei prossimi giorni, l’accordo sugli investimenti tra Europa e Cina sarà solo di principio, hanno deciso i 27 ieri a Bruxelles. Sarà cioè l’anticamera di un negoziato da definire poi nei dettagli.
Per ora progressi sull’accesso al mercato cinese per le imprese europee, rimozione o riduzione di alcune barriere nel manifatturiero, nell’edilizia, nei servizi finanziari e non. Ancora nulla di fatto su tutela dei diritti dei lavoratori e standard ambientali. Aperta la questione cruciale del sistema legale cinese, la possibilità di ricorsi in tribunale in caso di abusi o violazione dei patti: se il nodo non sarà sciolto, l’intero accordo potrebbe rivelarsi di carta. Intanto la Cina pretende l’ingresso nei mercati europei di energia, acqua e servizi pubblici.
Sarà ancora lunga la strada del riequilibrio dei rapporti euro-cinesi. Se mai ci sarà.
Ci sono progressi in alcuni campi, ma la strada del riequilibrio dei rapporti euro-cinesi è ancora lunga