Raggi assolta, più lontana l’intesa Pd-M5s—
Duro attacco della sindaca al Movimento: «Lasciata sola» Calenda: resto in campo
«Sono stati quattro lunghi anni di solitudine politica. Credo che debbano riflettere in tanti, anche e soprattutto dentro il M5s. Ora è troppo facile voler provare a salire sul carro del vincitore. Tanti abbiamo la decenza di tacere».
La sindaca della Capitale Virginia Raggi esce pulita dal caso Marra - proprio ieri la Corte d’Appello di Roma ha ribadito l’assoluzione «perché il fatto non costituisce reato» per la vicenda della nomina di Renato Marra, fratello dell’ex capo del personale del Campidoglio Raffaele, a capo del dipartimento turismo del Comune di Roma nel novembre del 2016 - e il suo primo commento è un forte j’accuse al partito che l’ha candidata. Raggi aveva già messo le mani avanti («mi ricandiderò comunque») ed ora chiede ai leader pentastellati di gettare la maschera. La sindaca ce l’ha soprattutto con il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, che in passato aveva ricordato ai suoi «il dovere» di cercare accordi con altri partiti nelle grandi città e di «non fossilizzarsi sui nomi» e che ora naturalmente si congratula («continua a resistere grande donna, il M5s resiste insieme a te»). Parole di congratulazioni anche dal “reggente” politico Vito Crimi, ma a parlare esplicitamente di candidatura è non a caso il più forte oppositore della strategia dell’alleanza con il Pd Alessandro Di Battista: «Sei stata colpita dal fuoco amico. E io non vedo l’ora di sostenerti, ancora una volta, come candidata al Campidoglio». Non è un mistero che la parte più governista del movimento avrebbe accolto una condanna come la via per aprire scenari differenti, magari togliendole il simbolo. Ma ora, dopo la sentenza della Corte d’Appello, Raggi riceve quella legittimazione, quella spinta propulsiva per la sua candidatura rendendo più difficile lo smarcamento di una parte del movimento. L’attesa sentenza è insomma il vero avvio della campagna elettorale nella Capitale per le comunali della primavera 2021: toglie dal quadro la variabile più pesante e costringe gli avversari a riposizionarsi rapidamente.
Come se non bastasse la verifica di governo in corso, la spina di Roma si incunea ancor di più nel difficile rapporto tra M5s e Pd. La speranza che in casa dem ancora si nutriva di poter trovare una candidatura comune con almeno una parte del M5s è morta ieri. «Sul nome di raggi nessun accordo è possibile», era e resta il diktat del Pd. Che nelle prossime settimane dovrà chiudere l’accordo, con o senza primarie, all’interno del tradizionale perimetro del centrosinistra: dalla sinistra di Leu fino a Carlo Calenda, che resta candidato, e a Italia Viva di Matteo Renzi che lo appoggia. Entrambi, Calenda e Renzi, restii ad utilizzare lo strumento delle primarie su una piazza così importante come quella della Capitale, quando di fronte ci sarà con ogni probabilità un candidato del centrodestra forte come Guido Bertolaso. A Largo del Nazareno, che a questo punto non vede male la candidatura dell’ex ministro dello Sviluppo, la decisione sulle primarie non è ancora stata presa. Anche la soluzione della verifica di governo in corso - dicono i più maliziosi - è una variabile da tenere in conto: in caso di caduta del Conte 2 Calenda potrebbe essere interessato a rientrare nel campo della politica nazionale. Ma l’interessato respinge con forza le voci di un suo disinteressamento: «Resto assolutamente in campo».
Il nodo primarie: Calenda e Renzi restii quando il centrodestra è pronto a scendere in campo con un candidato forte come Bertolaso