Dentro il mistero della vita embrionale
Studio su Science
Lo sviluppo embrionale dei mammiferi è rimasto per anni una scatola nera impenetrabile ai biologi dello sviluppo. A differenza degli embrioni di pesci, anfibi e uccelli, la cui crescita all’interno di un uovo è facilmente osservabile, quello dei mammiferi è sempre stato avvolto nel mistero dal momento in cui si impianta nell’utero materno. Fino a qualche giorno fa, quando un gruppo di genetisti molecolari del Max Planck di Berlino ha raccontato sulle pagine di Science che cosa succede nelle prime fasi dello sviluppo dei topi, l’organismo modello per eccellenza per capire ciò che avviene anche nell’uomo.
Il risultato, oltre al breakthrough scientifico, è un’ottima notizia sia per gli animali da laboratorio (risparmiati) che per lo studio clinico di farmaci umani. Il team, coordinato da Alexander Meissner e Bernard Hermann, è riuscito a creare degli embrioni sintetici di topo in laboratorio descrivendo le strutture cellulari che successivamente produrranno neuroni, ossa, cartilagini e muscoli. Il termine “embrioni sintetici” può far saltare alcuni dalla sedia, ma non siamo davanti a ricercatori che giocano a creare la vita su una piastra di Petri. «Si tratta di embrioni sintetici ma non artificiali – sottolinea Adriano Bolondi, dottorando all’istituto tedesco e primo autore della ricerca insieme a Jesse Veenvliet – perché abbiamo a che fare con cellule staminali pluripotenti, derivate dagli embrioni, che possono generare tutti i tipi cellulari dell’organismo adulto, ma non veri embrioni prodotti dall’unione di gameti». Quelle immortalate dal team berlinese con bellissime immagini al microscopio a fluorescenza sono delle strutture lunghe circa un millimetro, nelle quali è anche osservabile il primo accenno di un tubo neurale dal quale si dovrebbe sviluppare la spina dorsale dell’individuo e poi le diverse sezioni del tronco e, in alcuni casi, i tessuti precursori degli organi interni come l’intestino, ma non dell’encefalo. Il risultato apre una nuova era nella biologia dello sviluppo perché permette di osservare direttamente l’embriogenesi in maniera continua e molto precisa, evitando di sacrificare animali da laboratorio. Inoltre, poter osservare direttamente la morfogenesi promette di accelerare la comprensione di molti problemi dello sviluppo embrionale, finora poco conosciuti o aiutare a generare miniorgani artificiali sui quali testare i farmaci abbattendo tempi e costi dello sviluppo farmacologico. «Tutto ciò è stato possibile grazie all’utilizzo di un gel di coltura in commercio da tempo ma finora mai utilizzato in questo contesto e a un cocktail di citochine e piccole molecole che inducono la differenzazione cellulare spiega Bolondi, laureato alla Sapienza e arrivato a Berlino dopo un’esperienza ad Harvard, negli Usa – Il gel è importante perché sostiene le cellule come farebbe la matrice extracellulare dei tessuti extraembrionali come la placenta, ma permette loro abbastanza mobilità per organizzarsi in strutture complesse». Insieme alla bioinformatica Helene Kretzmer, Bolondi e Veenvliet hanno anche confrontato l’attività genetica di queste strutture sintetiche con quelle di veri embrioni di topo. «Abbiamo riscontrato che tutti i geni fondamentali si attivano nel momento e nei tessuti corretti, con solo una manciata di geni che si comporta in maniera anomala – spiega Bolondi – ma si tratta di tessuti stabili, con uno sviluppo molto prevedibile, senza i problemi riscontrati in altre colture di cellule staminali».