Per la fusione Mps è salva la dote fiscale
Credito d’imposta fino al 20% per le perdite subite dagli investitori retail
Non riesce il blitz parlamentare pentastellato per tagliare la dote fiscale pensata per le nozze di Mps. La regola sulle Dta resta quella scritta al ministero dell’Economia per il testo originario della manovra e l’unica novità, prevista da un emendamento firmato da otto deputati M5S, impone al ministro dell’Economia di «riferire preventivamente al Parlamento» su possibili aggregazioni o modifiche della partecipazione del Tesoro in Rocca Salimbeni. Una petizione di principio, non facile da declinare sul piano operativo vista la delicatezza del tema che non si concilia troppo con discussioni «preventive» in Parlamento.
Sempre in fatto di banche, i Cinque Stelle riescono invece a portare al traguardo il correttivo (firmato da Raphael Raduzzi) che alza dal 40 al 100% il tetto per l’anticipo dell’indennizzo ai risparmiatori colpiti dai crack in attesa del piano di riparto del Fondo istituito con la manovra per il 2019. Proprio i tempi eterni per la definizione del piano di riparto del fondo hanno prima creato l’idea dell’anticipo, e ora hanno alzato il tetto al 100% svincolando di fatto il completamento degli indennizzi dall’attesa che si definisca l’intera procedura. A patto, naturalmente, che l’istruttoria
Per il Monte dei Paschi Tesoro chiamato a «riferire preventivamente» al Parlamento sulle aggregazioni
della domanda sia completa e che l’assegnazione degli “anticipi” non pregiudichi la «parità di trattamento» con gli altri risparmiatori danneggiati. L’anticipo pesante, in altre parole, non può esaurire le risorse mettendo a rischio altri titolari del diritto all’indennizzo.
Un’altra novità per gli investitori è targata Italia Viva (Luigi Marattin, Mauro Del Barba, Marco Di Maio, con l’adesione di Sestino Giacomoni di Fi), e introduce un credito d’imposta fino al 20% delle somme investite nei PirPmi (articolo 13-bis, comma 2-bis del Dl 124/2019, il collegato fiscale alla manovra dello scorso anno) da parte delle persone fisiche residenti in Italia. Il credito d’imposta, che scatta in caso di perdite o minusvalenze realizzate da chi ha mantenuto l’investimento per almeno cinque anni, dribbla
Al 100% il possibile anticipo dei rimborsi dal Fondo per i risparmiatori colpiti dai crack bancari
i limiti generali ai crediti d’imposta agevolativi previsti dal comma 53 della legge 244/2007 e i vincoli alla compensabilità fissati dall’articolo 34 della legge 388/2000.
L’obiettivo è evidentemente quello di attenuare i rischi per i risparmiatori retail incentivando sul piano fiscale nuovi investimenti nell’economia reale: una strada contraria a quella dell’appesantimento fiscale dei risparmi ipotizzata con l’idea della patrimoniale, che ha occupato il centro del dibattito iniziale sulla manovra in Parlamento prima di abbandonare frettolosamente la scena.
Ma in ambito finanziario le attenzioni della vigilia erano concentrate sul dossier Mps, e sulla dote fiscale che le stime degli analisti valutano in due miliardi offerta dagli sconti fiscali sulle Dta in caso di aggregazioni.
L’unione di Rocca Salimbeni con un altro istituto per ora resta ufficialmente teorica, visto che il Monte ha appena approvato un nuovo piano industriale che mantiene Siena nella sua condizione di solitudine.
Ma tutti sanno che l’aggregazione, per la quale Unicredit è il partner sotto osservazione, è la via maestra per riprivatizzare la banca entro l’anno prossimo come previsto dall’intesa con Bruxelles. Il gruppo dei Cinque Stelle che punta invece su Mps come pilastro della futuribile banca pubblica aveva provato a limitare a 500 milioni il beneficio fiscale. A Via XX Settembre, al contrario, si era studiata l’ipotesi di alleggerire i costi di commissione per rendere più conveniente l’operazione.
Entrambi i tentativi si sono arenati.