Brexit, trattativa sul filo di lana per evitare il no deal
Sulla trattativa pesano il nodo sui diritti di pesca nel Mare del Nord e l’emergenza che il premier Johnson deve affrontare sul fronte della pandemia a causa della nuova variante del coronavirus
Brexit, si avvicina il momento della verità per evitare il no deal tra il Regno Unito e l’Unione europea . Vanno avanti a oltranza i colloqui tra i due capi di delegazione, il francese Michel Barnier e l’inglese David Frost. Quella in atto è una corsa contro il tempo per evitare un’uscita traumatica, senza accordo di libero scambio, di Londra dall’Unione europea. Sulla trattativa pesa sicuramente il nodo rappresentato dai diritti di pesca nel Mare del Nord, ma lo scenario è ora complicato da una variabile inattesa, e cioè l’emergenza che il premier Boris Johnson deve affrontare sul fronte della pandemia a causa della nuova, pericolosa variante del coronavirus.
Sono ormai negoziati ad oltranza quelli tra Londra e Bruxelles in vista di un trattato di partenariato con il quale gestire i rapporti tra l’Unione europea e il Regno Unito dal 1° gennaio in poi. Oltre alle difficoltà nel trovare una intesa sulla pesca nel Mare del Nord, le trattative sembrano segnate anche dalla recrudescenza della pandemia virale in Gran Bretagna: le nuove tensioni nel governo conservatore di Boris Johnson non aiutano.
Le parti hanno negoziato tutto il fine settimana. Ieri pomeriggio, il capo-negoziatore comunitario Michel Barnier ha voluto fare il punto della situazione su Twitter, dopo aver incontrato la sua controparte David Frost, mentre continuavano le trattative tecniche: «In questo momento cruciale continuiamo a lavorare sodo con David Frost e la sua squadra. L’Unione europea rimane impegnata ad ottenere un accordo che sia equo, reciproco ed equilibrato».
Ha aggiunto poi l’uomo politico francese, sempre su Twitter: «Rispettiamo la sovranità della Gran Bretagna, e ci attendiamo lo stesso rispetto da parte britannica. Entrambi abbiamo il diritto di decidere le proprie leggi e controllare le proprie acque. Entrambi dobbiamo poter agire quando i nostri interessi sono in gioco». Le parole sono interlocutorie, ma lasciano intendere che il nodo principale, almeno in questo momento, è la regolamentazione della pesca nel Mare del Nord.
Secondo le informazioni raccolte qui a Bruxelles, la più recente proposta comunitaria è di ridurre il valore della pesca europea nelle acque britanniche – pari a 650 milioni di euro all’anno – del 25% su un periodo che può oscillare tra i sei e i sette anni (si veda Il Sole 24 Ore di ieri). Il Regno Unito vorrebbe una riduzione di circa il 60% entro un periodo di tre anni. Il ministro della Salute britannico Matt Hancock ha parlato ieri di «richieste irragionevoli» da parte bruxellese.
La proposta europea non piace agli stessi pescatori comunitari. Ha detto nel fine settimana Gerard van Balsfoort, presidente della European Fisheries Alliance che raggruppa i pescatori dei paesi costieri del Mare del Nord: «Un accordo, nella sua forma attuale, avrebbe un enorme impatto sul settore ittico europeo, che è composto da oltre 18.000 pescatori e 3.500 imbarcazioni con un giro d’affari annuo di 20,7 miliardi di euro. La nostra industria è letteralmente e metaforicamente in bilico».
«Si tratta di trovare un equilibrio», si spiegava ieri nell’entourage di Michel Barnier. Gli altri nodi sono noti: il meccanismo di soluzione delle controversie e l’accesso del Regno Unito al mercato unico, rispettando le regole sugli aiuti di Stato. Le questioni sono ancora aperte, ma un esito positivo è visibile, spiegava ieri un negoziatore comunitario. Qui a Bruxelles si faceva notare un aspetto incoraggiante: il desiderio di entrambe le parti di continuare il negoziato.
Il Parlamento europeo aveva chiesto di poter avere in mano l’intesa entro ieri sera per poterla leggere e approvare con il tempo necessario. Non sarà così, evidentemente. Il Regno Unito, che ha già lasciato l’Unione europea il 31 gennaio scorso, lascerà definitivamente il mercato unico e l’unione doganale il prossimo 31 dicembre. In assenza di un accordo di partenariato, torneranno in auge le frontiere così come le regole dell’Organizzazione mondiale del Commercio.
Qui a Bruxelles si temeva ieri che la recrudescenza della pandemia virale, con la scoperta di una preoccupante mutazione del virus fosse un ulteriore elemento di disturbo nelle trattative. Il premier Johnson è sotto attacco da parte di esponenti del suo stesso partito conservatore per avere atteso troppo tempo prima di annunciare un rigido riconfinamento a Londra e in una parte dell’Inghilterra. Molti rimproverano al governo di essere a conoscenza della mutazione del virus da settimane, se non mesi.
Il primo ministro è stretto tra esigenze diverse. Da un lato, vorrà evitare gravi turbolenze all’inizio dell’anno in caso di no-deal. Dall’altro non deve urtare l’ala oltranzista dei brexiteers nel suo stesso partito, pronta a criticarlo per un accordo troppo accomodante. Ragionevolmente, la recrudescenza della pandemia virale dovrebbe indurre a una intesa, almeno per allentare una parte delle pressioni di cui l’uomo politico è oggetto in patria. Di questi tempi, però, nulla è certo.
Il primo ministro è criticato anche dall’ala oltranzista del suo partito per la gestione del Covid-19