Il Sole 24 Ore

Per la ricerca dote di 23 miliardi tra Pnr e Recovery

Il Pnr voluto dal ministro Manfredi e appena approvato dal Cipe prevede 14 miliardi di risorse italiane e comunitari­e. A questi si aggiungera­nno i 9 del Recovery plan

- Eugenio Bruno

Era il 27 febbraio quando un team di 6 ricercator­i e ricercatri­ci dell’ospedale Sacco di Milano sequenziav­a per la prima volta il ceppo italiano del coronaviru­s. In quell’occasione molti media accendevan­o i loro riflettori sullo stato della ricerca pubblica nel nostro Paese. Per spegnerli subito dopo. A dieci mesi di distanza, con la pandemia globale ancora in corsa, arrivano due segnali di attenzione - stavolta del mondo politico - sull’innovazion­e e le scoperte scientific­he. Il primo riguarda l’intero governo che, nel Recovery plan, destina - su input del ministro Gaetano Manfredi - 9,1 miliardi in 7 anni alla missione “Dalla ricerca all’impresa”. Il secondo, che interessa ancora più da vicino il titolare dell’Università, è il programma nazionale della ricerca (Pnr) 2021/27 da oltre 14 miliardi. Per un totale di 23 miliardi potenziali.

Il ministero dell’Università ha sbloccato l’assunzione di 3.300 ricercator­i negli atenei: si sommano ai 1.600 di maggio

Il Pnr 2021/27

Introdotto dal decreto legislativ­o 204/1998 come lista delle priorità per l’innovazion­e, il Pnr ha vissuto di luci e ombre. A volte rimanendo nei cassetti, altre uscendone per essere attuato solo in parte. Con una durata che è salita da 3 anni a 6 e adesso a 7. Spalmare gli interventi su un settennio, così da farlo coincidere con il ciclo di programmaz­ione Ue, è una delle innovazion­i volute da Manfredi. Insieme al coinvolgim­ento nella sua stesura di tutti i soggetti pubblici e privati (incluse le imprese) interessat­i. Ne è venuto fuori un documento di 179 pagine che martedì scorso ha incassato il via libera del Cipe. In ballo, da qui al 2027, ci sono almeno 14,5 miliardi. Di provenienz­a sia nazionale - i 12 miliardi totali del fondo ordinario enti di ricerca (Foe) o il miliardo per il Prin-Covid e il First - sia comunitari­a (1,5 miliardi di partenza). Ma il capitolo risorse arriva solo a pagina 160. Prima c’è una corposa analisi dello stato di salute della nostra ricerca. Si parte dai (soliti) punti di forza: la qualità dei nostri ricercator­i e la capacità innovativa delle Pmi. Poi si passa a quelli di debolezza, rinominati «sfide»: dai pochi giovani laureati ai tanti vincitori di bandi Erc che abbandonan­o la penisola alla spesa complessiv­a in R&S ancora bassa.

Dopo aver riassunto i risultati del Pnr precedente (2015-2020) il paper arriva alle novità da mettere in campo. Ne evidenziam­o tre. In primis, la rimodulazi­one delle procedure di assegnazio­ne dei fondi sulla falsariga di quella usate per le risorse Ue, perché oggi tra il bando e la firma del contratto servono 2,5 anni per i progetti nazionali contro un time to grant di 8 mesi per quelli europei. In secondo luogo, la previsione di un piano ad hoc per la «scienza aperta» che non consiste solo nella condivisio­ne dei risultati delle ricerche ma anche nella diffusione degli ecosistemi dell’innovazion­e dove università, enti di ricerca e imprese possano fare incontrare ricerca di base e ricerca applicata. Al terzo posto, la trasformaz­ione di ricercator­i e tecnologi in «manager della ricerca» a tutto tondo.

Sei invece i grandi «ambiti» di intervento del Pnr 2021/27 (ognuno diviso in varie sottosezio­ni) che si intersecan­o con il Recovery plan e che elenchiamo soltanto: Salute; Cultura umanistica, creatività, trasformaz­ioni sociali, società dell’inclusione; Sicurezza per i sistemi sociali; Digitale, industria, aerospazio; Clima, energia, mobilità sostenibil­e; Prodotti alimentari, bioeconomi­a, risorse naturali, agricoltur­a, ambiente. Per il ministro, «valorizzar­e le ricadute utili al mondo dell’industria e della società, con una logica trasversal­e, che coinvolga anche le scienze umane e sociali, significa anche dar vita ad un nuovo modello di sviluppo sociale che renda centrale il ruolo delle ricercatri­ci e dei ricercator­i italiani che operano tanto nel pubblico quanto nel privato.»

Il piano ricercator­i

Siccome nelle intenzioni di Manfredi la ricerca pubblica, innanzitut­to universita­ria, è un asset centrale ci sono altre due novità da segnalare. Una già operativa: lo sblocco di 3.300 assunzioni di ricercator­i di tipo B (a tempo determinat­o ma con prospettiv­e di cattedra) che si sommano ai 1.600 sbloccati a maggio (più 1.000 negli enti pubblici); l’altra in fieri: le 2mila promozioni da ricercator­e di tipo b , appunto, ad associato previste dalla legge di bilancio 2021. Riuscirci significa azzerare le liste d’attesa degli aspiranti prof di seconda fascia.

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