Il Covid penalizza di più le donne Persi 344mila posti di lavoro
Rispetto al 2019 il numero delle lavoratrici dipendenti e autonome è diminuito del 3,5% Più colpite Sardegna, Marche, Calabria, Lazio e Veneto. Neomamme a rischio dimissioni
L a pandemia di Covid-19 rischia di infliggere un duro colpo all’occupazione femminile in Italia, che è già ben al di sotto degli standard europei. Dei 622mila posti di lavoro persi nel terzo trimestre 2020 rispetto allo stesso periodo del 2019, secondo l’Istat, 344mila (il 55,3%) riguardano donne. E c’è il rischio che gli effetti dell’emergenza sanitaria, con la chiusura delle scuole e la paura del contagio da coronavirus, facciano aumentare le dimissioni delle lavoratrici madri nel 2020: l’anno scorso sono state 37.611 le neomamme che si sono dimesse, in crescita rispetto al 2018.
Le dimissioni delle madri rappresentano il 73% di tutte le dimissioni e risoluzioni consensuali del rapporto di lavoro di madri e padri convalidate dall’Inl (quelle dei neopapà sono il 27%).
Gli effetti della pandemia, peraltro, hanno riguardato non solo il numero di occupati, ma anche il numero delle ore lavorate, che hanno avuto un crollo durante il primo lockdown e una leggera ripresa nel terzo trimestre 2020. In questo periodo dell’anno, le imprese industriali e i servizi hanno usato 86,1 ore di cassa integrazione guadagni ogni mille ore lavorate, con un balzo di 80,9 ore ogni mille rispetto al terzo trimestre 2019.
Gli effetti sul territorio
I numeri elaborati dalla Fondazione Leone Moressa per Il Sole 24 Ore del Lunedì, partendo dai dati appena diffusi dall’Istat, confermano che la pandemia ha penalizzato in generale il lavoro, portando a un calo su base annua del 2,6% dei posti occupati, fra lavoratori dipendenti e autonomi. Se si guarda al genere, per gli uomini il calo è stato del 2%, mentre per le donne è stato del 3,5 per cento. Il tasso di occupazione nel terzo trimestre 2020 è del 67,5% per gli uomini e del 48,5% per le donne .
Rispetto a 9,8 milioni di lavoratrici censite nel 2019, dunque, la popolazione delle donne al lavoro si è ridotta a 9,5 milioni. Le lavoratrici sono state penalizzate dal fatto di avere spesso occupazioni precarie o stagionali. A soffrire di più in termini di posti femminili persi sono state Sardegna, Marche, Calabria, Lazio e Veneto. Si tratta di dati ancora provvisori e non destagionalizzati, ma in grado di restituire una prima idea dell’impatto della pandemia sul territorio.
In Sardegna, ad esempio, su 43mila posti persi, 28mila erano femminili. In Calabria il calo è stato pesante per entrambi i sessi: -6,9% per i maschi e -8% per le femmine. Nelle Marche e in Veneto, invece, c’è un notevole divario fra i posti persi dagli uomini e quelli persi dalle donne, a sfavore di queste ultime.
Meno lavoro e meno natalità
La flessione dell’occupazione femminile può avere ripercussioni negative sulla natalità, già pesantemente in calo. Secondo l’Istat, nel 2020 i nuovi nati potrebbero scendere a 408 mila, per ridursi a 393mila nel 2021. Nel commentare i dati sul lavoro, la Fondazione Leone Moressa fa notare che se negli anni 70 avere più figli equivaleva per le donne a meno lavoro, oggi non è così: i Paesi con bassa partecipazione femminile al mercato del lavoro sono diventati anche tendenzialmente quelli con minori livelli di fecondità. I Paesi del Sud Europa si distinguono per bassa natalità e bassa occupazione femminile. In una situazione opposta si trovano i Paesi scandinavi, quelli Baltici e il Regno Unito.