La crisi pandemica ha rallentato la crescita della design economy
Il 68,2% dei progettisti ha registrato un calo della domanda durante il lockdown e la fase 2 Ma ripensare business e spazi sarà decisivo per la ripresa: l’85,4% dei designer lavora a contatto diretto con i vertici aziendali
Strumento fondamentale per la competitività delle aziende, il design è destinato a giocare un ruolo strategico in questa difficile fase di convivenza con la pandemia e ancor di più in quella di uscita dall’emergenza, per immaginare nuovi modelli produttivi, distributivi e di comunicazione.
Perché questo fa il design, inteso nella sua accezione più ampia, come capacità di progetto: affronta una situazione o un problema con una visione di insieme, in un ottica di lungo periodo e con un approccio “orizzontale” (che mette in connessione tutti gli elementi di una determinata struttura o fenomeno) anziché “verticale” (ciascuno conosce e fa soltanto il proprio lavoro), fornendo così una risposta di sistema che, dati alla mano, si è dimostrata negli ultimi anni un elemento di competitività per le aziende italiane.
Dati che sono messi in evidenza nell’edizione 2020 del report «Design Economy», in cui la Fondazione Symbola – in collaborazione con POLI.design e Deloitte e con il supporto di Adi (Associazione industriale italiana), Cuid e Comieco – tratteggia le caratteristiche di un universo imprenditoriale e creativo che proprio in Italia ha una delle sue massime espressioni. Parliamo di studi di design e progettazione, che forniscono il proprio lavoro a tutti i settori industriali italiani, dall’arredameno alla moda, dall’automotive alla nautica, dal packaging alla comunicazione. Una galassia che in Europa contava nel 2018 oltre 217mila unità (in crescita del 51,1% rispetto al 2011), con l’Italia al primo posto per numero di imprese (quasi 34mila), ma al terzo per numero di occupati (64.500) e per valore aggiunto (oltre 3 miliardi di euro), alle spalle di Regno Unito e Germania. «Abbiamo una lunga e radicata tradizione nel design, grazie alla stretta connessione tra questo e le filiere industriali del made in Italy – spiega Domenico Sturabotti, direttore della Fondazione Symbola – ma scontiamo anche in questo settore l’eccesso di frammentazione che caratterizza l’intero tessuto imprenditoriale italiano. La sfida dei prossimi anni sarà aumentare il valore aggiunto e il numero di addetti a parità di numero di imprese».
Purtroppo, l’emergenza Covid non ha aiutato in questo percorso di crescita, perché ha colpito duramente anche questo settore come emerge dall’indagine condotta da Symbola in collaborazione con il POLI.design su un campione (non rappresentativo a fini statistici) di 150 progettisti. Il 68,2% ha registrato, durante il primo lockdown e la “Fase 2” avviata a maggio, un calo della domanda e del valore delle commesse. Tuttavia, fa notare Sturabotti, la maggioranza degli intervistati ha resistito alla crisi e dalle risposte emergono elementi che testimoniano il ruolo decisivo che il design giocherà nella ripresa. Quasi la metà dei progettisti ha dichiara di essere stato coinvolto, già nella “Fase 2” in attività di riprogettazione degli spazi pubblici e privati e quasi il 70% di essi si dice convinto che questo accadrà sempre di più nel prossimo futuro. Non solo: «L’85,4% del campione, quando lavora con le imprese committenti, si relaziona direttamente con i vertici aziendali – osserva Sturabotti –. I progettisti vengono coinvolti nelle attività strategiche, a testimonianza del fatto che sempre più imprenditori e manager, in un momento di crisi, si rivolgono al design per riprogrammare i processi e traghettare le aziende fuori dall’emergenza».
Altro elemento rilevante è lo stretto legame percepito tra design e sostenibilità ambientale: il 94% degli intervistati dichiara che i progetti futuri sono in ambito «green», a partire dai processi produttivi fino a prodotti e al packaging. Tema, quello degli imballaggi, che ha assunto una dimensione centrale proprio con la pandemia, osserva Sturabotti, in seguito all’esplosione dell’e-commerce e delle consegne di prodotti a domicilio, ma anche alla predilezione crescente dei consumatori per i prodotti confezionati anziché per quelli sfusi.
Sul tema dello sviluppo sostenibile – indicato dall’Unione europea come una priorità nelle politiche di rilancio, il design giocherà un ruolo fondamentale. Ne è convinto Luciano Galimberti, presidente dell’Adi, l’associazione che dal 1954 seleziona e premia i migliori progetti di design attraverso il Compasso d’Oro e che a breve inaugurerà il proprio museo a Milano. «Abbiamo tre criteri per selezionare il design, sia esso applicato ai prodotti, ai processi, ai servizi, alle città o al sociale – spiega Galimberti –: sviluppo, sostenibilità e responsabilità. Oggi i designer perdono un po’ il loro protagonismo, all’interno di un progetto, ma ne diventano in qualche modo i registi, fornendo alle aziende un supporto strategico per sviluppare i propri obiettivi , in chiave sostenibile e responsabile». In questo senso, aggiunge Galimberti, il contributo del design va oltre quello della forma o del prodotto – a cui è stato storicamente legato nel nostro Paese – e questo ha permesso anche un’evoluzione della “mappa” del design italiano, che resta ancora concentrato nei territori più industrializzati (il Centro-Nord Italia, come fotografa anche il report di Symbola), ma va via via diffondendosi in altre regioni, comprese quelle del Sud. «Sarà interessante vedere se la pandemia porterà un ulteriore cambiamento a questa mappa – aggiunge il presidente Adi –: finora la produzione e la formazione nei settori creativi si è concentrata nelle grandi città, Milano in primis, ma il fenomeno del lavoro a distanza e della fuga dalle metropoli causata dal Covid potrebbe avere ripercussioni anche su futuri centri propulsori della progettazione».
In Italia la maggiore concentrazione di imprese resta al Nord, ma il Sud è in forte crescita