Riccicliamo: la seconda vita del riccio di mare
Due progetti italiani per riutilizzare gli scarti di un cibo prelibato
Il riccio di mare, oltre a svolgere un ruolo cruciale nel delicato equilibrio dell’ecosistema marino, rappresenta una prelibatezza alimentare apprezzata in tutto il mondo: i dati più aggiornati parlano considerando sia gli animali utilizzati nei ristoranti sia quelli lavorati per la produzione della cosiddetta polpa di riccio - di un mercato globale annuo che si assesta sulle 75.000 tonnellate. Leader del settore è il Giappone, ma l’Italia svolge sicuramente un ruolo di rilievo: siamo infatti i maggiori consumatori tra i Paesi europei (circa 2000 tonnellate/anno). Numeri che assumono una luce sinistra a fronte di un dato, che rende tale filiera alimentare ecologicamente poco sostenibile: dal 70 al 90% del riccio di mare viene scartato. Quella che finisce nei piatti, a condire in modo inconfondibile antipasti e piatti di pasta, è infatti una minima parte del corpo del riccio (nello specifico, le sue gonadi).
E se gli scarti del riccio potessero essere riutilizzati? È a partire da questa affascinante ipotesi che un gruppo di ricerca, composto da scienziati e scienziate delle Università degli Studi di Milano, Padova e Genova, ha ideato due progetti per dare una seconda vita a questi scarti alimentari: CIRCULAr (finanziato dalla Fondazione Cariplo) e
BRITEs (che si fonda su finanziamenti del MIUR). “Grazie alle metodologie implementate - spiega Michela Sugni, del Dipartimento di Scienze e Politiche Ambientali (ESP) dell’Università degli Studi di Milano, coordinatrice del progetto CIRCULAr - riusciamo innanzitutto ad estrarre dagli scarti del riccio (in particolare dalla membrana peristomiale, l’area flessibile che circonda la bocca) del collagene, usato per la produzione di speciali patch: veri e propri sostituti della pelle da utilizzare nella medicina rigenerativa”; “in un’ottica che si avvicini il più possibile al zero waste, dal resto del corpo del riccio, opportunamente trattato, estraiamo poi degli additivi antiossidanti e ricchi di calcio - prosegue Maria Chiara Chiantore, del Dipartimento DISTAV di Genova - che potrebbero risultare particolarmente utili nel settore della mangimistica, sia nell’allevamento della gallina ovaiola sia nell’acquacoltura”. “Punto di forza di questi progetti è la forte multidisciplinarità, con professionisti/e provenienti da diversi campi” commenta Marco Patruno, del Dipartimento BCA di Padova e coordinatore di BRITEs: dalla biologia (in modo da poter testare l’efficacia dei patch sulla pelle danneggiata da un taglio o da un’ustione) alla chimica (sono state ideate delle speciali tecniche green per l’estrazione dei materiali, in modo che il processo sia a impatto zero), dalla zootecnia e acquacoltura (per determinare l’impatto degli integratori alimentari sugli allevamenti, ad esempio sulla costituzione delle uova o sul benessere animale) all’economia. Obiettivo dei progetti è infatti l’applicazione di queste tecnologie innovative al mercato, partendo dal mercato stesso: “abbiamo già effettuato un’analisi completa del settore, identificando i principali attori coinvolti nella filiera del riccio - spiega Luigi Orsi, docente e ricercatore di economia e gestione delle imprese presso il Dipartimento ESP di Milano - e mappando i flussi internazionali che la caratterizzano”. L’occhio, tuttavia, è puntato al futuro: “abbiamo ipotizzato business model per le nuove catene produttive basate sul riutilizzo degli scarti. Non solo: nelle fasi conclusive del progetto verrà fatta anche un’attenta analisi di sostenibilità economica e di preferenze del consumatore, in modo da prevedere nel modo corretto i diversi flussi di ricavo”. Per maggiori informazioni e per partecipare attivamente ai progetti, è possibile scrivere a info@riccicliamo.it