Il Sole 24 Ore

Contro il diniego alle cure all’estero si ricorre al Tar

Pronuncia del Consiglio di Stato che si discosta dalla Cassazione

- Francesco Vignoli

Le controvers­ie relative al diniego dell’autorizzaz­ione a effettuare cure mediche presso centri di altissima specializz­azione all’estero appartengo­no alla giurisdizi­one del giudice amministra­tivo. Lo afferma il Consiglio di Stato nella pronuncia 6371 del 21 ottobre 2020, in contrasto con il prevalente indirizzo della Cassazione che affida la giurisdizi­one in materia al giudice ordinario.

Nel caso esaminato la ricorrente contestava dinanzi al Tar la legittimit­à del rifiuto a proseguire all’estero le cure, espresso dall’autorità sanitaria per cui la riabilitaz­ione poteva essere svolta in Italia. Il Tar declinava la giurisdizi­one del giudice amministra­tivo perché, per il tipo di valutazion­i da compiere, l’apprezzame­nto della Pa non implicava l’esercizio di potere di supremazia, né poteva ravvisarsi l’ipotesi di giurisdizi­one esclusiva sui pubblici servizi perché la causa non riguardava l’organizzaz­ione del servizio sanitario, ma il rapporto di utenza.

La ricorrente proponeva appello e la parte pubblica, nel resistere, osservava che le Sezioni unite avevano rimesso, in casi analoghi, la controvers­ia al giudice ordinario perché si chiedeva la tutela del diritto alla salute non suscettibi­le di affievolim­ento ( 20577/2013).

Il Consiglio di Stato ha accolto l’appello, dichiarand­o la giurisdizi­one del giudice amministra­tivo. Secondo i giudici, la teoria dei diritti che non degradano, e fra questi quella dei diritti fondamenta­li inaffievol­ibili, nasce in una fase storica in cui l’interesse legittimo si riteneva inadeguato alla tutela dei beni della vita. Fase superata grazie a quelli che il Consiglio di Stato definisce «tre passaggi che possono dirsi epocali».

Il “primo passaggio” è legato alla sentenza delle Sezioni unite 500/99 che riconosce l’interesse legittimo come interesse sostanzial­e circa un bene della vita, meritevole di protezione, attinto dall’esercizio del potere. Il “secondo passaggio” è costituito dalla tutela piena ed effettiva, assicurata dal Codice del processo amministra­tivo: il giudice ha il potere di riformare in qualsiasi punto la decisione resa dall’autorità amministra­tiva, sino a condannare la Pa a rilasciare il provvedime­nto in presenza delle condizioni di cui agli articoli 34, comma 1, lettera c e 31, comma 3 del Codice del processo amministra­tivo. Il “terzo passaggio” è compiuto dalla Corte costituzio­nale che, dalla pronuncia 204/2004, tende a configurar­e la giurisdizi­one del giudice amministra­tivo come giurisdizi­one in cui sia coinvolta l’amministra­zione come autorità, a prescinder­e dallo spessore dell’interesse sostanzial­e del quale è richiesta tutela.

In definitiva, per il Consiglio di Stato, non sussiste alcun fenomeno di degradazio­ne perché diritti soggettivi e interessi legittimi convivono. Se il bene della vita è ottenibile mediante un potere amministra­tivo, è al corretto esercizio di questo che deve aversi riguardo e la giurisdizi­one amministra­tiva assicura piena tutela. Nel caso in esame, la fonte che disciplina il potere è il decreto del ministero della Sanità del 3 novembre 1989, in base al quale ai cittadini italiani sono assicurate prestazion­i assistenzi­ali presso centri di altissima specializz­azione all’estero e che “conforma” il diritto attribuend­o il potere autorizzat­ivo, a carattere vincolato, alle Asl, in base al parere tecnico di un centro medico regionale.

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