Contro il diniego alle cure all’estero si ricorre al Tar
Pronuncia del Consiglio di Stato che si discosta dalla Cassazione
Le controversie relative al diniego dell’autorizzazione a effettuare cure mediche presso centri di altissima specializzazione all’estero appartengono alla giurisdizione del giudice amministrativo. Lo afferma il Consiglio di Stato nella pronuncia 6371 del 21 ottobre 2020, in contrasto con il prevalente indirizzo della Cassazione che affida la giurisdizione in materia al giudice ordinario.
Nel caso esaminato la ricorrente contestava dinanzi al Tar la legittimità del rifiuto a proseguire all’estero le cure, espresso dall’autorità sanitaria per cui la riabilitazione poteva essere svolta in Italia. Il Tar declinava la giurisdizione del giudice amministrativo perché, per il tipo di valutazioni da compiere, l’apprezzamento della Pa non implicava l’esercizio di potere di supremazia, né poteva ravvisarsi l’ipotesi di giurisdizione esclusiva sui pubblici servizi perché la causa non riguardava l’organizzazione del servizio sanitario, ma il rapporto di utenza.
La ricorrente proponeva appello e la parte pubblica, nel resistere, osservava che le Sezioni unite avevano rimesso, in casi analoghi, la controversia al giudice ordinario perché si chiedeva la tutela del diritto alla salute non suscettibile di affievolimento ( 20577/2013).
Il Consiglio di Stato ha accolto l’appello, dichiarando la giurisdizione del giudice amministrativo. Secondo i giudici, la teoria dei diritti che non degradano, e fra questi quella dei diritti fondamentali inaffievolibili, nasce in una fase storica in cui l’interesse legittimo si riteneva inadeguato alla tutela dei beni della vita. Fase superata grazie a quelli che il Consiglio di Stato definisce «tre passaggi che possono dirsi epocali».
Il “primo passaggio” è legato alla sentenza delle Sezioni unite 500/99 che riconosce l’interesse legittimo come interesse sostanziale circa un bene della vita, meritevole di protezione, attinto dall’esercizio del potere. Il “secondo passaggio” è costituito dalla tutela piena ed effettiva, assicurata dal Codice del processo amministrativo: il giudice ha il potere di riformare in qualsiasi punto la decisione resa dall’autorità amministrativa, sino a condannare la Pa a rilasciare il provvedimento in presenza delle condizioni di cui agli articoli 34, comma 1, lettera c e 31, comma 3 del Codice del processo amministrativo. Il “terzo passaggio” è compiuto dalla Corte costituzionale che, dalla pronuncia 204/2004, tende a configurare la giurisdizione del giudice amministrativo come giurisdizione in cui sia coinvolta l’amministrazione come autorità, a prescindere dallo spessore dell’interesse sostanziale del quale è richiesta tutela.
In definitiva, per il Consiglio di Stato, non sussiste alcun fenomeno di degradazione perché diritti soggettivi e interessi legittimi convivono. Se il bene della vita è ottenibile mediante un potere amministrativo, è al corretto esercizio di questo che deve aversi riguardo e la giurisdizione amministrativa assicura piena tutela. Nel caso in esame, la fonte che disciplina il potere è il decreto del ministero della Sanità del 3 novembre 1989, in base al quale ai cittadini italiani sono assicurate prestazioni assistenziali presso centri di altissima specializzazione all’estero e che “conforma” il diritto attribuendo il potere autorizzativo, a carattere vincolato, alle Asl, in base al parere tecnico di un centro medico regionale.