Il Sole 24 Ore

MANCA LA VISIONE PAESE

Ancora pesante la cultura dei sussidi, il dualismo Nord-Sud deve riguardare tutte le linee di intervento

- di Claudio De Vincenti e Stefano Micossi

Più la si guarda da vicino, meno la bozza del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) convince. Intanto, ancora non prendono forma definita gli impegni di riforma, che in massima parte paiono generiche indicazion­i di obbiettivi – con la sola eccezione del capitolo giustizia. Su questo ampie indicazion­i sono contenute nelle osservazio­ni inviate al governo dall'Assonime, in particolar­e riguardo alla riforma fiscale, a quella della pubblica amministra­zione e all'indispensa­bile nuovo round di semplifica­zioni. In secondo luogo, il dettaglio delle 47 linee di intervento contenute nell'allegato alla bozza, nonostante alcuni correttivi, rivela una scelta di fondo molto discutibil­e, che è quella di affidare la trasformaz­ione dell'economia italiana a una miriade di sussidi e di micro-interventi, sacrifican­do le infrastrut­ture e gli investimen­ti sulle reti (meno di 28 miliardi da investire), aspetti nei quali l'Italia mostra enormi ritardi, ma che non sono popolari nella base grillina e anche in parte in quella del Pd. Su questa impostazio­ne il Commissari­o Gentiloni, nella sua ampia intervista alla Repubblica del 29 dicembre lascia pochi dubbi: essa non potrà trovare l'approvazio­ne della Commission­e.

In effetti, l'allegato al PNRR uscito qualche giorno fa propone una incoerente dispersion­e di risorse senza visione unitaria che non sembra essere stata recuperata nell’ultima revisione; il filo che il Piano sembrava possedere nell'indicazion­e delle grandi priorità d'intervento appare ora spezzato, tra proliferaz­ione di misure minute e sottodimen­sionamento di programmi che invece dovrebbero esserne l'asse portante.

Che senso ha, ad esempio, disperdere oltre 5 miliardi in incentivi per le rinnovabil­i, limitando a molto meno gli investimen­ti su reti intelligen­ti e accumuli, che sono invece i veri fattori abilitanti del loro sviluppo? O ancora, senza chiarire come sbloccare la Strategia per le aree interne che in otto anni di vita non ha saputo spendere neanche i 200 milioni assegnati in partenza, dedicarle circa 1 miliardo di euro? O disperdere oltre 1 miliardo in interventi di incentivaz­ione microsetto­riali invece di ricondurli nell'alveo, questo sì importante, di Transizion­e 4.0 (nuovo nome per Industria 4.0)? O infine dedicare all'incentivaz­ione dei pagamenti elettronic­i quasi la metà della dotazione di 10 miliardi per la digitalizz­azione della PA?

Contempora­neamente, restano sottodimen­sionati capitoli dal grande potenziale per il rilancio del Paese. A cominciare dalla messa in sicurezza di strade, viadotti e ponti, cui vengono assegnati meno di 2 miliardi di euro. Per continuare con gli investimen­ti in logistica e portualità, ai quali sono dedicati solo 4 miliardi quando sappiamo che essi costituisc­ono la via maestra per consentire all'Italia, e in particolar­e al Mezzogiorn­o, di essere protagonis­ta degli scambi europei e mediterran­ei. Così come, incredibil­mente, manca del tutto il capitolo delle bonifiche e del rilancio produttivo dei siti industrial­i dismessi o in crisi. O ancora, appare del tutto sottodimen­sionato il finanziame­nto per la realizzazi­one di impianti di chiusura del ciclo rifiuti, per l'approvvigi­onamento e il risanament­o delle reti idriche, per la sistemazio­ne idrogeolog­ica di un territorio devastato dall'incuria e dall'abusivismo. E, per finire, è una buona idea destinare decine di miliardi all'ecobonus per le ristruttur­azioni edilizie, dedicando solo 5 miliardi alle esigenze di risanament­o e trasformaz­ione degli assetti urbani delle grandi città, incomincia­ndo dalla capitale (il sindaco Raggi per una volta ha ragione da vendere).

Naturalmen­te, scontiamo qui la carenza progettual­e e realizzati­va che si trascina da tempo nelle nostre pubbliche amministra­zioni e che condiziona la presentazi­one di proposte di investimen­to credibili. Questa questione, però, deve esser presa di petto, non può essere aggirata disperdend­o i fondi in mille rivoli senza strategia. Anzitutto, varando per legge corsie regolament­ari che accelerino la realizzazi­one degli investimen­ti e affrontand­o con determinaz­ione lo sblocco degli interventi bloccati dalla burocrazia e dai veti politici.

Il PNRR deve mantenenre i grandi assi prioritari – digitalizz­azione della PA, Industria 4.0, banda ultra-larga, attrattori culturali, alta velocità di rete, rigenerazi­one urbana – concentran­do efficaceme­nte gli interventi a sostegno di un numero limitato di scelte prioritari­e.

In questo, va sottolinea­to che le quote da destinare, secondo le prescrizio­ni europee, alla transizion­e verde e a quella digitale, possono emergere come risultato complessiv­o del Piano, non necessaria­mente come capitoli a sé stanti. Così come la coesione territoria­le e il superament­o del dualismo Nord-Sud deve costituire un filo rosso che attraversa tutte le missioni e i programmi di cui il Piano si compone. Non si tratta di partire da zero ma di recuperare quella visione unitaria e nazionale dispersa nelle 47 linee di intervento.

I micro interventi sacrifican­o gli investimen­ti e rischiano di non ottenere l’ok della Commission­e Ue

La coesione territoria­le deve costituire un filo rosso che attraversa tutte le missioni del Piano

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