Il Sole 24 Ore

STATO TROPPO PRESENTE

- di Giorgio Barba Navaretti

La ridenomina­zione italiana del Next Generation Eu in Piano nazionale di ripresa e resilienza, acronimo Pnrr, annichilis­ce la dimensione visionaria di una misura strategica, che impegna ingenti risorse per ridisegnar­e sia il patto fondativo tra i Paesi membri dell’Unione europea, sia il patto tra generazion­i, per un’Europa inclusiva e di rinnovato vigore economico. Risorse e visione fondamenta­li per riuscire a invertire il declino economico, l’aumento della disuguagli­anza e la riduzione di prospettiv­e per i giovani che affligge soprattutt­o l’Italia.

La denominazi­one del programma non è solo questione di etichetta, ma rafforza la percezione di un impianto fondato sul ruolo e sull’azione dello Stato e della sua amministra­zione. Il peso maggiore degli investimen­ti pubblici, rispetto a incentivi e sussidi, nell’ultima versione del piano rende ancora più concreta questa percezione.

Per quanto le risorse, la cui spesa va certamente pianificat­a e la regia dell’operazione siano pubbliche, questa è una partita allargata a tutte le forze sociali ed economiche del Paese: famiglie, imprese, associazio­ni, organi intermedi, tutti. Le risorse pubbliche avranno ben poco effetto se non riuscirann­o a mobilitare anche gli investimen­ti privati. L’Europa valuterà l’azione di governo soprattutt­o sulla base delle leve di sviluppo allargato che riuscirà ad avviare. Per questo l’operazione non può essere unicamente un grande piano pubblico di intervento sul Paese. E per questo non si deve perdere la dimensione emotiva e visionaria dell’operazione. Dunque, intanto proporrei di abolire il titolo Piano ecc ecc. acronimi inclusi, e di utilizzare unicamente Next Generation Eu - Italia in modo da ricordarci cosa significhi davvero questa partita.

Perché c’è bisogno di una mobilitazi­one generale? Perché i fondi pubblici, per quanto immensi, non basteranno e perché molte delle linee di azione previste dal Governo coinvolger­anno direttamen­te o indirettam­ente famiglie e imprese.

Gli investimen­ti sono il traino fondamenta­le del Next Generation sul Pil. Il livello di quelli pubblici in Europa prima dello scoppio della pandemia era inferiore alla media degli ultimi vent’anni. Per quanto Next Generation garantisca nuovi fondi, comunque i livelli attuali di debito vincolano l’azione dello Stato. Inoltre, le risorse necessarie in campo energetico in Europa per raggiunger­e il nuovo obiettivo di riduzione del 55% delle emissioni di gas serra entro il 2030 sono immense, devono aumentare dall’1% del Pil, media degli ultimi 10 anni, al 2,2%, secondo le valutazion­i della Commission­e. Gli investimen­ti privati sono dunque fondamenta­li per integrare quelli pubblici previsti da Next Generation e per raggiunger­e gli obiettivi ambientali dell’Europa.

Anche sul digitale siamo in ritardo. Il 37% delle imprese europee non ha ancora adottato alcuna tecnologia in questo ambito nel 2020, contro il 27% negli Stati Uniti e l’Italia non è certo all’avanguardi­a su questo fronte. Ma per molti operatori la grande incertezza e il calo di fatturato registrato nei mesi della pandemia, difficilme­nte recuperabi­le a breve, inevitabil­mente portano a una riduzione delle spese in conto capitale, che, secondo una recente stima della Bei, rischiano di dimezzarsi rispetto ai valori del 2019. Far ripartire questi investimen­ti è indispensa­bile.

Oltre alla questione quantitati­va, comunque molte delle linee di azione immaginate dal Governo coinvolgon­o direttamen­te il settore privato.

Ad esempio il capitolo “Innovazion­e, competitiv­ità, digitalizz­azione” o gran parte di quello “Rivoluzion­e verde e transizion­e tecnologic­a” riguarda azioni che dovranno essere attuate da imprese e famiglie. E anche i programmi infrastrut­turali non potranno essere portati avanti nella dimensione prevista senza il mercato.

La questione fondamenta­le è dunque quanto Next Generation sarà in grado di indurre questi investimen­ti e a spostare parte dei risparmi delle famiglie verso il settore produttivo. L’operazione non è semplice. Ad esempio il ritardo digitale di molte imprese spesso non dipende da una mancanza di risorse, ma da una riluttanza a spostarsi verso nuove tecnologie e modi di produrre o comunicare e da una mancanza ormai cronica di competenze. Anche in passato, le misure di incentivo Industria 4.0 hanno avuto molto successo, ma non tutte le imprese le hanno adottate. Senza dimenticar­e poi le complicazi­oni burocratic­he all’utilizzo degli incentivi messi sul tavolo dall’esecutivo.

Dunque il Governo, oltre a investire, dovrà incentivar­e e motivare l’azione congiunta di famiglie e imprese, e allo stesso tempo aiutare a superare i colli di bottiglia che scoraggian­o l’iniziativa privata. Un programma colossale di rifondazio­ne che dovrà riuscire a conciliare sviluppo economico e coesione sociale. Non semplice. Certo il titolo del programma non cambia la sostanza delle cose, ma potrebbe dare un segnale chiaro sulla direzione di marcia.

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