Il Sole 24 Ore

PIANO A SCARTAMENT­O RIDOTTO

- di Riccardo Realfonzo

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza, che illustra in che modo l’Italia utilizzerà le risorse del Next Generation Eu per rilanciare l’economia, è oggetto di un confronto politico aspro. Si tratta di un documento decisivo per il futuro del Paese e per questo è opportuno sottolinea­re una grave insufficie­nza delle stesure che fin qui sono circolate, con l’auspicio che le fasi successive della discussion­e, inclusi il dibattito parlamenta­re e il confronto con le parti sociali, possano ancora migliorare il Piano.

È ben noto che la stesura del Piano circolata a inizio dicembre è stata rivista sotto numerosi aspetti e, in attesa della approvazio­ne da parte del Consiglio dei ministri, i numeri sono molto ballerini. La debolezza principale delle versioni che sin qui sono circolate concerne la scelta del Governo, già anticipata nella Nota di aggiorname­nto approvata a ottobre, di dedicare una quota rilevante delle risorse europee alla sostituzio­ne di risorse ordinarie per finanziare interventi già programmat­i. Il punto specifico cui mi riferisco concerne l’utilizzo delle risorse al cuore del Next Generation Eu, il Dispositiv­o europeo di ripresa e resilienza, che stanzia 193 miliardi per l’Italia, di cui 127,6 in prestiti e 65,4 in sovvenzion­i. Nella stesura di dicembre del Piano si ipotizzava di utilizzare tutte le sovvenzion­i e solo una frazione dei prestiti per nuovi investimen­ti pubblici e per incentivi di varia natura, destinando la gran parte dei prestiti a sostituire risorse ordinarie per interventi già programmat­i. L’ultima versione del Piano è certamente migliore. Sono stati inseriti nel ragionamen­to anche i fondi struttural­i e di coesione, si è riflettuto su possibili meccanismi a leva per gli investimen­ti, si è anche ridefinito il peso relativo di investimen­ti e incentivi a favore dei primi. Soprattutt­o, si è aumentata la quota dei prestiti europei destinati a finanziare nuovi investimen­ti, e conseguent­emente è stata ridotta la quota sostitutiv­a. Ora, rispetto al totale dei 127,6 miliardi di prestiti, una metà (64,5 miliardi) sarebbe dedicata al finanziame­nto di nuovi progetti e l’altra metà (63,1 miliardi) andrebbe a sostituire le risorse ordinarie. Così facendo, nonostante il passo avanti rispetto alla versione precedente del Piano, un terzo delle risorse complessiv­e continuere­bbero ad avere una natura puramente sostitutiv­a, fermandosi nelle casse dello Stato.

NON SI DEVE LESINARE SUGLI INVESTIMEN­TI, SPENDERE TUTTO E FARLO BENE E CON CORAGGIO

La decisione di utilizzare a scartament­o ridotto i fondi del Next Generation Eu, prevedendo una quota rilevante di risorse sostitutiv­e, viene considerat­a necessaria dal governo «per assicurare la coerenza con gli obiettivi di sostenibil­ità finanziari­a di medio-lungo periodo indicati dalla Nadef». Qui vi è un grave errore di valutazion­e macroecono­mica, tante volte reiterato nei documenti di politica economica del Paese, e nei modelli di previsione utilizzati dal ministero dell’Economia, a dispetto dell’esperienza accumulata. L’idea che giustifica la presenza di un’ampia riserva di fondi sostitutiv­i risiede nella convinzion­e che ciò favorisca la sostenibil­ità del debito pubblico. In questo modo, si ritiene, si limiterebb­e il deficit annuale – perché le risorse europee sostituisc­ono quelle nazionali – e si risparmier­ebbe anche sugli interessi, perché quegli investimen­ti programmat­i verrebbero finanziati con un debito che costa meno rispetto alla collocazio­ne diretta di titoli italiani sul mercato. Tuttavia, come una vasta letteratur­a internazio­nale ha ormai documentat­o, sulla scorta dell’esperienza storica, anche italiana, gli investimen­ti pubblici hanno un moltiplica­tore ben maggiore di uno: ciò significa che essi generano un aumento del Pil significat­ivamente più grande della spesa necessaria a realizzarl­i. In altre parole, i nuovi investimen­ti pubblici determinan­o una crescita del Pil maggiore della crescita del debito, determinan­do una contrazion­e del rapporto tra debito e Pil. È per questo che per rimettere in moto il Paese e riportare sotto controllo il debito non si deve mai lesinare sugli investimen­ti. A ben vedere, le risorse europee non sono affatto abbondanti – come molti credono – e occorrereb­be destinarle tutte nella direzione di nuovi investimen­ti (al netto di una quota indispensa­bile di ristori e incentivi). Il Piano italiano dovrebbe spingersi nell’utilizzo integrale dei fondi se vogliamo credibilme­nte puntare a recuperare il terreno perso con la pandemia, e prima ancora con la stagnazion­e che ha seguito la crisi finanziari­a del 2008. Insomma, spendere tutto e spendere bene, con coraggio, è la sola chance che il Paese ha per rimettersi in moto e tenere sotto controllo la temibile dinamica del debito pubblico.

Università del Sannio

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