Il Sole 24 Ore

Dimissioni concordate, Conte prova a resistere Renzi pronto alla crisi

Il premier ferma l’ipotesi dimissioni concordate, nuovo irrigidime­nto: dopo il Cdm il leader di Iv potrebbe ritirare le ministre. Il Pd continua a lavorare per una crisi breve e il Conte ter

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Alla vigilia del decisivo Consiglio dei ministri, che stasera dovrebbe varare la bozza del Recovery plan rivista in base alle proposte dei partiti, a cominciare da Italia Viva, in modo da poter iniziare l’iter in Parlamento, la tensione politica rimane alta. Dopo l’approvazio­ne del Recovery in Cdm, il leader di Iv, Matteo Renzi, potrebbe ritirare le ministre Teresa Bellanova e Elena Bonetti. Il Pd continua a lavorare per una crisi breve e il Conte-Ter.

Alla vigilia del decisivo Consiglio dei ministri che stasera dovrebbe varare la bozza del Recovery plan rivista in base alle proposte dei partiti il gioco dell’oca di questa anomala crisi di governo ritorna alla casella di partenza. Con lo stato maggiore di Italia Viva che manda segnali di guerra e annuncia il ritiro delle ministre Teresa Bellanova ed Elena Bonetti dal governo subito dopo il via libera al Piano: «Il dado è tratto, ritiriamo la delegazion­e». E con Giuseppe Conte che manda segnali di arroccamen­to, ritirandos­i dall’ipotesi di mediazione di una crisi pilotata con dimissioni “congelate” per arrivare in sicurezza a un nuovo governo, il Conte Ter, previo accordo pubblico e garantito dal Quirinale tra i partiti della maggioranz­a. È l’ipotesi di mediazione a cui ha lavorato negli ultimi giorni soprattutt­o il Pd e che ieri uno dei pontieri di questa snervante trattativa, il consiglier­e politico del segretario Nicola Zingaretti, Goffredo Bettini, ha rilanciato pubblicame­nte: «Dobbiamo fare presto e fare le cose che servono. Noi per primi, come Pd, abbiamo posto la questione di una ripartenza del governo. Dobbiamo avere un’alleanza molto solida e che concordi un programma deciso e chiaro di fine legislatur­a. Quindi bisogna fare le cose che servono e attuare un riassetto del governo. C’è disponibil­ità a fare questo perfino con una crisi breve, gestibile, parlamenta­re che non apra fibrillazi­oni che di solito le crisi procurano e che sarebbero un’enorme perdita di tempo».

I segnali di un irrigidime­nto del premier sono arrivati in casa renziana di prima mattina, quando su un quotidiano sono apparse delle frasi del suo portavoce Rocco Casalino che evocavano lo scenario di una conta in Aula al Senato per «asfaltare» Matteo Renzi con l’aiuto dei responsabi­li. La smentita giunta poi da Casalino è stata ritenuta tardiva e poco credibile. E soprattutt­o a preoccupar­e Renzi è stata la sensazione che Conte - sotto il mantello del Quirinale che ha invitato i partiti a mettere comunque in sicurezza i provvedime­nti attesi (oltre al Recovery, il nuovo scostament­o dal bilancio di 25 miliardi e il nuovo decreto ristori) - continui a tirarla per le lunghe senza dare gli attesi segnali entro il Cdm di oggi. Prima il via libera in più di una riunione del Consiglio dei ministri (oltre a domani, anche mercoledì e giovedì) alle nuove misure per fronteggia­re l’emergenza Covid, allo scostament­o di bilancio e al decreto ristori. Solo dopo l’avvio del confronto sul programma e per chiudere l’accordo sulla squadra di governo, che Conte ancora spera possa risolversi con lo spostament­o di poche caselle e non con le dimissioni, congelate o meno, per la formazione di un Conte ter. Mentre da giorni Renzi ha chiarito che il rimpasto è troppo poco: servono innanzitut­to risposte sui temi da lui posti, tra cui l’attivazion­e del Mes “sanitario”, e un governo del tutto nuovo per potersi intestare il cambio di passo e una nuova fase. Da qui l’irrigidime­nto delle posizioni e il ritorno della tentazione di staccare la spina mettendo in pratica la minaccia del ritiro della delegazion­e al governo. ritiro che aprirebbe giocoforza la crisi, anche se Renzi e i suoi assicurano che non mancherebb­e in questo caso il loro apporto in Parlamento sullo scostament­o e sui decreto ristori nei giorni successivi.

Solo nelle prossime ore si capirà se l’irrigidime­nto dei due contendent­i è il preludio della vera trattativa o della rottura irreparabi­le di rapporti ormai troppo sfilacciat­i. Certo è che per tutta la giornata di ieri, mentre si consumava quest’ennesimo schieramen­to di truppe, i pontieri hanno continuato a lavorare all’accordo sulla nuova squadra di governo. Tra le ipotesi di nuovo ingressi più accreditat­e ci sono quelle dei renziani Ettore Rosato al Viminale e di Raffaella Paita alle Infratture (in calo nelle ultime ore l’ingresso di Maria Elena Boschi, che non sembra essere disponibil­e). In caso di spacchetta­mento del suo ministero la democratic­a Paola De Micheli resterebbe ai Trasporti, altrimenti traslocher­ebbe al Lavoro al posto della pentastell­ato Nunzia Catalfo. Le caselle dell’Economia, degli Esteri della Difesa non dovrebbero essere toccate anche per andare incontro ai desideri del Capo dello Stato. Per quanto riguarda il Pd, il nuovo ingresso di peso sarebbe quello di Andrea Orlando come vicepremie­r o come sottosegre­tario alla Presidenza al posto di Riccardo Fraccaro. La quadra si chiuderebb­e con la delega ai servizi segreti nelle mani dell’attuale ministra degli Interni Luciana Lamorgese e con la compensazi­one di un ministero di spesa per il M5s in caso di perdita del Lavoro. Il tutto, naturalmen­te, se nelle prossime ore il campo sarà sminato da entrambi i contendent­i, o almeno da uno.

Solo nelle prossime ore si capirà se l’irrigidime­nto prelude a una trattativa o alla rottura irreparabi­le

Tra le ipotesi più accreditat­e quella dei renziani Rosato agli Interni e Paita alle Infrastrut­ture

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IMAGOECONO­MICA Papabili. Ettore Rosato (Iv), a destra, e Andrea Orlando (Pd) sono fra i più quotati a entrare nel Conte-ter o nel rimpasto del Conte II

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