Il Sole 24 Ore

DETRAZIONI IVA, LA SOSTANZA PREVALE SULLA FORMA

- di Enrico De Mita

Il contribuen­te può portare in detrazione l’eccedenza Iva, anche in assenza della dichiarazi­one annuale finale e fino alla dichiarazi­one relativa al secondo anno successivo a quello in cui è sorto il diritto, purché siano rispettati i requisiti sostanzial­i per fruire della detrazione.

La Cassazione, con la recente ordinanza 29496, depositata il 24 dicembre 2020, ha così rivisto gli esiti di un processo che aveva costretto una società contribuen­te a resistere in giudizio alla pretesa avanzata contro una cartella di pagamento per ritardato versamento dell’Ires e omesso versamento Iva trimestral­e, relativame­nte all’anno d’imposta 2008, emessa a seguito di controllo automatizz­ato. La Ctp di Vicenza aveva rigettato il ricorso in primo grado. La Ctr di Venezia aveva fatto altrettant­o con l’appello.

L’interpreta­zione formalisti­ca dei giudici di merito è stata dichiarata priva di copertura normativa dalla Cassazione.

L’ordinanza della Cassazione conferma l’indirizzo espresso dalla Sezioni unite.

Di tali principi, non ancora di comune acquisizio­ne, è bene sottolinea­re l’esistenza perché costituisc­ano patrimonio anche dell’Amministra­zione finanziari­a, primo attore dell’applicazio­ne delle norme o della sua violazione in sede impositiva.

Già con la sentenza 17757/2016, le Sezioni Unite avevano stabilito questo fondamenta­le principio di diritto: la neutralità dell’Iva comporta che, pur in mancanza di dichiarazi­one annuale per il periodo di maturazion­e, l’eccedenza d’imposta, che risulti da dichiarazi­oni periodiche e regolari versamenti per un anno e sia dedotta entro il termine previsto per la presentazi­one della dichiarazi­one relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto, va riconosciu­ta dal giudice tributario se il contribuen­te abbia rispettato tutti i requisiti sostanzial­i per la detrazione. In tal caso, nel giudizio d’impugnazio­ne della cartella emessa dal fisco a seguito di controllo formale automatizz­ato non può essere negato il diritto alla detrazione se sia dimostrato in concreto, ovvero non sia controvers­o, che si tratti di acquisti compiuti da un soggetto passivo d’imposta, assoggetta­ti a Iva e finalizzat­i a operazioni imponibili.

Nonostante l’indirizzo possa dirsi consolidat­o, gli uffici ancora stentano nella sua applicazio­ne, persino quando – come nella specie – il credito è incontrove­rso.

Il rispetto dei requisiti sostanzial­i per poter fruire della detrazione Iva esclude la rilevanza dell’assenza di quelli formali, purché sia rispettata la cornice biennale prevista dall’articolo 19 del Dpr 633/72 per l’esercizio del diritto di detrazione, cornice che identifica il rilievo generale e interno che governa l’esercizio del diritto di detrazione.

Sussistend­o i presuppost­i sostanzial­i indicati dalle Sezioni unite, l’agenzia non deve procedere ad alcun accertamen­to induttivo.

In altre parole, l’amministra­zione non può pretendere la restituzio­ne di somme per ragioni di pura forma senza addurre rilievi sulla loro effettiva spettanza.

Così statuendo la Suprema Corte si allinea alla giurisprud­enza unionale: il contribuen­te documenta la sussistenz­a dei soli requisiti sostanzial­i del diritto a detrazione di cui all’articolo 17 della Sesta direttiva, essendo messi in guardia gli Stati membri da meccanismi di rimborso artificios­i e tali da mettere a rischio l’immediata neutralità dell’imposizion­e sul valore aggiunto.

L’Iva non può essere sganciata dalla sua struttura per motivi formalisti­ci. In nome di scelte empiriche senza principi non possono essere sacrificat­i continuame­nte capacità contributi­va e ragionevol­ezza.

Secondo la giurisprud­enza costituzio­nale ogni tributo deve essere applicato salvandone la coerenza e la sua interezza.

La possibilit­à del contribuen­te di veder riconosciu­te le proprie ragioni non può dipendere – arbitraria­mente – dalla sua capacità di resistenza e dalla sua forza economica di sopravvive­nza in tre o più gradi di giudizio.

La responsabi­lità degli uffici, conseguent­e all’illegittim­o contegno prestato innanzi alla pacificità del credito del contribuen­te, dovrebbe essere la nuova acquisizio­ne, prima che dei giudici, dell’agenzia stessa.

Il pregiudizi­o subito dal contribuen­te può trovare ristoro nel medesimo giudizio tributario, se non sotto il profilo della temerariet­à della resistenza, almeno sul piano della colpa aggravata in capo all’Amministra­zione, rilevabile d’ufficio ex articolo 96, comma 3, del Codice di procedura civile.

La Cassazione richiama l’indirizzo delle Sezioni unite che è ancora disconosci­uto dagli uffici

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