Foti: «Fineco può crescere da sola, no a fusioni»
La raccolta di dicembre traina il titolo ai massimi: la banca vale 8,3 miliardi L’ad: «Il 2021 ci sorprenderà Per questo la chiave è sempre puntare sui trend strutturali»
«La via maestra resta la crescita interna, non cambiamo l’approccio: siamo come un’azienda di operai specializzati concentrati nell’offrire i migliori servizi ai clienti e non partecipiamo al dibattito in corso, né alle indiscrezioni, su possibili fusioni e acquisizioni all’interno dell’industria italiana del risparmio». Le azioni Fineco viaggiano ai massimi storici, proiettando la capitalizzazione del gruppo sul podio delle banche italiane, eppure Alessandro Foti preferisce mantenere la barra a dritta, e non intende dare ascolto alle sirene che vorrebbero vedere nella società da lui timonata da oltre dieci anni una delle protagoniste del risiko finanziario. Del resto, i numeri parlano chiaro: il 2020 così turbolento e imprevedibile si è appena chiuso con una raccolta da primato pari a 9,3 miliardi di euro e un patrimonio gestito ormai superiore ai 91 miliardi e, stando ai dati dei primi nove mesi, anche il bilancio di esercizio si risolverà in un’ulteriore crescita degli utili come i precedenti. «Restiamo ben posizionati per cavalcare i principali trend strutturali in atto, che restano la digitalizzazione dei processi e la sempre maggior consapevolezza degli italiani di voler gestire il proprio risparmio in modo efficiente e che la crisi Covid ha semmai accelerato», spiega l’a.d. di Fineco in un’intervista ad ampio raggio con Il Sole 24 Ore, ricordando che «il 2020 ci ha insegnato che reagire in modo tempestivo attraverso un’organizzazione flessibile può trasformare ogni problema in opportunità».
Cosa ci dobbiamo aspettare invece dal 2021 appena iniziato?
Ci sorprenderà, come ogni anno. Ma le tendenze appena delineate non potranno che rafforzarsi, e aumenteranno anche i problemi strutturali delle banche tradizionali, costrette a rivedere il loro modello di business per tenerlo al passo dello sviluppo digitale. Impegnati in questo sforzo per la sopravvivenza, gli istituti di credito rischiano di allentare l’attenzione sulla clientela, noi siamo quindi pronti a intercettare i flussi di risparmio in uscita come abbiamo sempre dimostrato di saper fare. Ci aiuta anche il passaparola, che funziona in maniera potentissima, soprattutto nelle fasi di discontinuità. Mi aspetto anche maggior trasparenza nell’industria.
Cosa intende?
Non riesco a comprendere la miopia di alcuni operatori, che continuano a privilegiare la difesa di margini ormai non più sostenibili, utilizzando a questo scopo approcci non sempre trasparenti.
Si riferisce alle commissioni di performance? Fineco Asset Management non le applica ai propri fondi e ne ha fatto un cavallo di battaglia. Di recente questa pratica è finita nel mirino dell’Esma, pensa che sia finalmente arrivata al capolinea?
Su questo punto si sono mosse in passato anche le Banche centrali e il processo è ormai avviato e irreversibile. Ma la questione è che la mancanza di trasparenza rischia di creare un danno anche alla stessa società italiana.
In che modo?
Trattenendo una quota dal risparmio delle famiglie, che rappresenta una delle risorse più preziose del Paese. Basti pensare che ogni punto percentuale sottratto a una ricchezza finanziaria disponibile superiore ai duemila miliardi di euro si traduce ogni anno in un ammontare che vale una manovra di bilancio, mentre in dieci anni si possono superare i 300 miliardi: una cifra che farebbe impallidire anche il Recovery Fund. Senza contare che una strategia poco trasparente rischia col tempo di minare anche lo stesso rapporto con i clienti, ed è sorprendente come non si riesca a comprenderlo.
Per Fineco invece il traguardo dei cento miliardi di patrimonio appare ormai a un passo, quando pensate di raggiungerlo?
Preferirei non sbilanciarmi in previsioni a breve termine, perché esistono variabili che non possiamo controllare come l’effetto di mercato. Lo scorso marzo, per esempio, abbiamo calcolato che lo scoppio della crisi Covid abbia momentaneamente pesato sulle nostre masse per ben 5 miliardi. Nel lungo periodo i trend restano invece forti: la ricchezza finanziaria degli italiani è stimata in circa 4.500 miliardi. Se a questo valore sottraiamo circa mille miliardi di partecipazioni degli imprenditori, altri 800 miliardi che rappresentano i Tfr e circa 500 miliardi che possono essere considerati la liquidità necessaria per le spese personali resta come obiettivo di riferimento per gli investimenti un ammnotare superiore ai 2mila miliardi. È una cifra gigantesca e attualmente in movimento, ed è questa che dobbiamo cercare di intercettare.
Proviamo a ribaltare la prospettiva: Fineco viene spesso indicata fra le possibili prede sullo scacchiere internazionale, la preoccupa?
Assolutamente no. Siamo una public company a tutti gli effetti, una delle poche in Italia, e per definizione siamo contendibili: se qualcuno è interessato può farsi avanti. Tutto ciò rappresenta uno straordinario valore, dato che avere un padrone inflessibile come il mercato, che chiede ritorni elevati e sostenibili nel tempo e non ha secondi fini, è anche la miglior garanzia per i clienti e per chi lavora nel gruppo. Anche per questo motivo non abbiamo alcun particolare interesse a svilupparci per linee esterne, perché distrarrebbe risorse e rallenterebbe la crescita organica.
Cosa si sente invece di consigliare ai risparmiatori: il 2021 sarà l’anno del rischio o della cautela?
La prima cosa da non fare è guardare al breve periodo e cercare di indovinare tatticamente come si muoveranno i mercati, perché è impossibile. Occorre invece sfruttare le due uniche certezze che abbiamo.
Quali sarebbero?
Prima di tutto, l’inflazione è un compagno di viaggio sgradevole e lo sarà a maggior ragione negli anni a venire, perché con le Banche centrali sempre più pronte a stampare moneta e i Governi a indebitarsi ho pochi dubbi sul fatto che i prezzi siano destinati a ripartire. Proprio per questo motivo, la tendenza degli italiani a lasciare i risparmi in giacenza sul conto corrente, già penalizzante come strategia, rischia di avere effetti ancora più rilevanti sul potere d’acquisto delle famiglie.
E la seconda?
È evidente che nel lungo termine l’economia globale sia destinata comunque a crescere, lo dimostrano appunto gli interventi delle autorità di politica monetaria e fiscale, disposte a fare di tutto perché questo avvenga come si è visto nel 2020. In questo caso le strategie di accumulo, attraverso un processo molto conservativo e prudente, devono essere la stella polare per il risparmiatore.
Avete in programma il lancio di nuovi prodotti o iniziative nel 2021?
Entro il primo trimestre dell’anno faremo ingresso nel mondo dei certificati a leva, dove interverremo come emittenti e anche in qualità di market maker. L’intenzione poi è di fare sempre più affidamento al contributo di Fineco Asset Management, la controllata irlandese attraverso la quale gestiamo già masse per oltre 16 miliardi, il tutto senza sconfessare l’architettura aperta che caratterizza le nostre gestioni.
E le criptovalute?
Daremo ai nostri clienti la possibilità di effettuare trading su di esse, ma l’idea di offrire depositi fisici è ancora prematura. Su questo occorre infatti ancora un approccio di grandissima cautela, perché si tratta di un mondo ancora poco trasparente e vi sono ancora molti aspetti da chiarire soprattutto sul fronte dei fenomeni legati al riciclaggio. Credo che si potrà avere una svolta decisiva soltanto nel momento in cui avremo evidenza delle prime criptovalute emesse dalle Banche centrali.