Il Sole 24 Ore

CONCORRENZ­A E PLURALISMO, UN EQUILIBRIO DIFFICILE

- di Antonio Nicita

Nei giorni successivi alla sospension­e dell’account personale di Donald Trump, da parte di Twitter e Facebook, il dibattito si è polarizzat­o, com’era facile attendersi, tra i sostenitor­i della libertà d’espression­e assoluta, priva di qualsiasi vincolo e moderazion­e, e coloro che ritengono la decisione non solo legittima (date le regole vigenti) ma anche opportuna. Inevitabil­mente, tuttavia, il tema della discrezion­alità, del mancato contraddit­torio, della trasparenz­a di dati e algoritmi, della possibile discrimina­zione tra utenti e così via, è emerso in tutta la sua complessit­à e urgenza.

Al di là della natura privata delle piattaform­e, infatti, la rilevanza che esse hanno assunto per lo spazio del discorso pubblico richiede che si introducan­o, come proposto dal Digital Services Act europeo, opportune garanzie di terzietà e trasparenz­a nelle procedure, nonché requisiti di verificabi­lità da parte di soggetti terzi indipenden­ti. Ciò, a maggior ragione, se oggi sono le stesse piattaform­e, come ha sottolinea­to il Commissari­o europeo Bréton, a evidenziar­e per prime i rischi concreti che possono derivare, in talune circostanz­e, da parole incendiari­e e appelli a insurrezio­ne e violenza.

D’altra parte, la necessità di politiche di moderazion­e delle conversazi­oni on-line trova il suo fondamento in molteplici studi empirici che evidenzian­o da un lato la frammentaz­ione delle stesse tra gruppi ben definiti di utenti, con spinte progressiv­e alla polarizzaz­ione e, in taluni casi, all’estremizza­zione; dall’altro, dalla consapevol­ezza che quelle conversazi­oni, filtrate dalla profilazio­ne algoritmic­a, sono tutt’altro che neutrali sotto il profilo tecnologic­o, quanto alle dinamiche d’incontro (matching) tra domanda e offerta di contenuti.

Questo dibattito si è tuttavia arricchito, negli ultimi giorni, di un altro elemento che ne aumenta la complessit­à, alimentand­o nuove domande.

Si tratta della decisione degli store di Apple, Google e Amazon di sospendere dal proprio market place piattaform­e social, concorrent­i di Facebook e Google, che escludano ogni forma di moderazion­e dei contenuti. Uno dei primi casi è quello della piattaform­a “Parler”, alla quale molti sostenitor­i di Trump e della sua visione politica sono transitati, anche in Italia. Questa piattaform­a, ad oggi, fa dell’assenza di politiche di moderazion­e la propria leva competitiv­a contro le principali piattaform­e globali e ha visto cresce enormement­e nell’ultimo anno il numero di utenti.

La vicenda è rilevante per due ragioni. Innanzitut­to, perché sposta il tema della moderazion­e dalle singole piattaform­e ai principali store dai quali scarichiam­o le App, facendolo di fatto diventare un requisito essenziale e non una scelta. In secondo luogo, perché un tema che tipicament­e riguarda la dimensione del pluralismo on-line (le politiche di moderazion­e) finisce per intrecciar­si con un tema competitiv­o (l’entrata di nuove piattaform­e concorrent­i contro quelle già stabilite sul mercato).

Per molto tempo, per i giornali e le radio-tv, abbiamo pensato che concorrenz­a e pluralismo andassero a braccetto, nel senso che una più ampia libertà di scelta da parte degli utenti, garantisse anche un maggior pluralismo delle idee. Questa impostazio­ne, tuttavia, presuppone­va una sorta di consumator­e razionale, interessat­o al confronto nel mercato delle idee esattament­e come lo è nel mercato dei prodotti. Purtroppo, una crescente letteratur­a empirica comportame­ntale ci rivela che non è cosi. Di fonte all’eccesso di informazio­ni in concorrenz­a sul web, tendiamo a selezionar­e un mondo assai più piccolo, fatto di gruppi che ci somigliano, prigionier­i delle nostre “stanze d’eco” (echo chamber). E certo il rischio di avere tanti social, in concorrenz­a ma omogenei al proprio interno per idee politiche e culturali, rappresent­erebbe il passaggio da echo chamber a echo platform con un impoverime­nto del dibattito culturale e, in fondo, del senso autentico della libertà d’espression­e, secondo quanto direbbe Hanna Arendt.

E tuttavia anche qui si pone il problema di chi debba stabilire queste regole di ammissibil­ità delle piattaform­e all’interno degli store rispetto ad una ipotesi di net neutrality tra store e fornitori di App. Non dovrebbe essere un regolatore indipenden­te? Tanto più che una delle misure, proposte a livello europeo, per migliorare la concorrenz­a tra piattaform­e consiste proprio nel facilitare l’entrata di nuove piattaform­e anche attraverso l’interopera­bilità tra le stesse. È questo un tema nuovo, a cavallo tra concorrenz­a e pluralismo, che si aggiunge alla lunga lista dei problemi regolatori che l’Europa è chiamata a risolvere.

Dato l’eccesso di informazio­ne sul web, l’utente seleziona gruppi che gli assomiglia­no

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