Il premier prova a congelare la crisi «Noi lavoriamo per costruire»
La tabella di marcia: prima mettere in sicurezza il Paese, poi i nodi della verifica
Giuseppe Conte resiste finché può all’ipotesi dimissioni, con la sponda di M5S e Pd che lo ritengono «un punto di equilibrio imprescindibile». Ieri il premier si è auto-annoverato di diritto nella pattuglia dei «costruttori» evocati dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel discorso di fine anno. «Noi lavoriamo per costruire, il momento è così difficile e dobbiamo mettercela tutta per dare risposte ai cittadini», ha detto ai microfoni del Tg3, ricordando che la pandemia non ha abbassato la guardia: «Stiamo arrivando a un’impennata di contagi, non sarà facile».
Il richiamo alle parole del capo dello Stato («questo è tempo di costruttori», aveva detto Mattarella, aggiungendo che «non vanno sprecate energie e opportunità per inseguire illusori vantaggi di parte») non è passato inosservato. Ed è risuonato non solo come un monito sulle priorità, ma quasi come una rinnovata tabella di marcia: prima mettere in sicurezza le urgenze del Paese, a partire dal Recovery Plan, poi dedicarsi ai nodi politici. Significa “congelare” la crisi e approfittarne per prendersi ancora un altro mese, ovvero fino al via libera delle Camere al piano di ricostruzione? Da Palazzo Chigi precisano soltanto che Conte sta lavorando e citano proprio gli interventi indifferibili sul doppio livello, economico e sanitario: dopo il Cdm di stasera alle 21.30 sul piano nazionale di ripresa e resilienza ce ne sarà un altro tra domani sera e giovedì per la proroga dello stato di emergenza, per il nuovo decreto antiCovid e per la richiesta di scostamento di bilancio per il quinto Dl Ristori. Oltre al nuovo Dpcm, naturalmente.
Sempre che Matteo Renzi non decida di staccare la spina al Governo già oggi, dopo aver comunque assicurato il disco verde al Recovery Plan riveduto e corretto, complice la moral suasion esercitata dal Colle. Il problema è che per Iv la partita non è affatto limitata a quel documento. C’è il «programma», come ha ricordato la ministra Teresa Bellanova. D’altronde lo stesso Conte ha aperto sia al rimpasto sia all’accelerazione sul patto di legislatura invocata anche dal Pd. Ma su entrambi i fronti si viaggia a rilento, tra veti e controveti. Guadagnare tempo sarebbe per il premier una boccata d’ossigeno. Gli consentirebbe di sottrarsi agli ultimatum di Renzi e di non salire al Quirinale al buio, ma soltanto con una lista di ministri condivisa, alla quale si cerca faticosamente di lavorare. Un’operazione non semplice, che Conte ancora vorrebbe «chirurgica» perché per ogni tessera del puzzle che si sposta - le più ambite sono le Infrastrutture, oggi detenute dalla ministra dem Paola De Micheli insieme ai Trasporti, e la poltrona di sottosegretario alla presidenza del Consiglio dove siede il pentastellato Riccardo Fraccaro - rischia di crollare l’intero castello. Ma c’è da chiudere anche il patto al 2023. Tra i 30 punti fatti recapitare al premier tramite Goffredo Bettini, consigliere del segretario Pd Nicola Zingaretti, ce ne sono alcuni che restano indigesti (il Mes sanitario, l’attacco al reddito di cittadinanza e alla prescrizione targati M5S) e altri su cui Conte ha più margini di manovra. La partita delle riforme istituzionali, ad esempio, appetibile anche perché utile a blindarsi. Alla revisione del Titolo V il premier aveva già aperto il 5 novembre durante il primo e finora ultimo faccia a faccia con i leader di M5S, Pd, Iv e Leu. Sul superamento del bicameralismo è già pronta la proposta dem che prevede la votazione del Parlamento in seduta comune sui principali provvedimenti, dalle leggi di bilancio alle ratifiche dei trattati, e una sorta di specializzazione delle due Camere.
Dove le distanze sono ancora enormi è invece sulla legge elettorale. Alla conferenza stampa del 30 dicembre, Conte aveva promesso una sua iniziativa per superare lo stallo attorno al “Brescellum”, il proporzionale con sbarramento al 5% fermo a Montecitorio. Una soglia troppo alta per i partiti più piccoli, Iv compresa. Nessuno si aspetta che il premier tiri fuori una sorpresa capace di mettere tutti d’accordo. Ma che intorno alle riforme possa cercare l’armistizio e garantirsi la permanenza sullo scranno più alto di Palazzo Chigi fino a fine legislatura, questo sì. Con o senza Renzi. Perché per il premier l’ultima parola va lasciata al Parlamento.
Dopo il Cdm di stasera sul Recovery Plan ce ne sarà un altro tra domani e giovedì per la proroga dello stato di emergenza, nuovo decreto anti-Covid e scostamento di bilancio.