Lavori forzati, Londra ferma le merci cinesi
Il Governo pronto a bloccare le importazioni provenienti dai «campi di rieducazione» Limiti anche all’export Uk di prodotti utilizzabili come strumenti di repressione
Londra prende le distanze da Pechino, introducendo limiti sia all’importazione di merci cinesi prodotte con lavoro forzato sia all’export di prodotti e tecnologia made in Britain che potrebbero essere utilizzati come strumenti di repressione.
Il Governo britannico si schiera in particolare contro i “campi di rieducazione” nella provincia di Xinjiang e il lavoro forzato dei musulmani di etnìa uigura, documentato da numerose fonti.
Il ministro degli Esteri britannico Dominic Raab annuncerà domani in Parlamento nuove misure per bloccare l’importazione di prodotti cinesi se provenienti da zone a rischio.
Le nuove regole impongono alle imprese importatrici di controllare la loro filiera di produzione per assicurarsi che sia “etica”, altrimenti saranno soggette a pesanti multe. La provincia dello Xinjiang produce oltre il 20% di tutto il cotone mondiale.
Raab intende rafforzare il Modern Slavery Act, la legge contro la schiavitù approvata nel 2015, introducendo misure più stringenti. Diverse ditte britanniche, soprattutto nel settore abbigliamento, hanno già preso misure per non utilizzare cotone o capi prodotti nei campi di lavoro forzato dello Xinjiang, evitando così di essere boicottate dai consumatori.
Il Governo cinese ha sempre negato di utilizzare lavoro forzato, di perseguitare gli uiguri o di avere avviato campagne di sterilizzazione forzata nello Xinjiang. L’ambasciatore uscente a Londra, Liu Xiaoming, ha consigliato al Regno Unito di rispettare «le norme base che regolano i rapporti internazionali, compresa la non interferenza negli affari interni di un altro Paese». Londra deve scegliere se trattare Pechino «come partner o come rivale», secondo l’ambasciatore.
L’impegno di Raab, che era un avvocato specializzato in diritti umani prima di entrare in politica, non è comunque sufficiente per alcuni deputati, che chiedono sanzioni individuali contro esponenti del regime cinese responsabili della gestione dei campi di lavoro e dei programmi di sterilizzazione forzata delle donne uigure.
Nel luglio scorso Londra aveva annunciato le prime sanzioni mirate contro persone ritenute responsabili di abusi dei diritti umani in Russia, Arabia Saudita, Myanmar e Corea del Nord, e non ha escluso di imporle contro funzionari cinesi in futuro. Raab ha detto che la lista sarà «costantemente rivista e aggiornata».
Iain Duncan Smith, ex leader del partito conservatore, ora deputato, ha accolto con favore la mossa di Raab ma ha detto che non basta «a
Modern Slavery Act
Il ministro degli Esteri britannico Dominic Raab intende rafforzare questa legge contro la schiavitù approvata nel 2015. Il provvedimento è indirizzato soprattutto alle merci cinesi prodotte nello Xinjang, dove spesso si fa ricorso al lavoro forzato. Nel 2019 l’export del Regno Unito verso la Cina è stato di 34 miliardi di euro contro 54,5 miliardi di importazioni. gestire il problema crescente che dobbiamo affrontare con la Cina».
Un gruppo di deputati conservatori ha formato il China Research Group e fa pressioni sul Governo perché adotti una linea più dura contro Pechino. Chiede anche che la Gran Bretagna non possa stringere accordi commerciali con Paesi colpevoli di genocidio, secondo quanto stabilito da un tribunale britannico. Il Governo è contrario, perchè sostiene che spetti solo ai tribunali internazionali, e non a quelli britannici, stabilire se un regime straniero sia colpevole di genocidio o meno.
I rapporti tra Londra e Pechino sono diventati sempre più tesi negli ultimi mesi, sia per la polemica sui presunti ritardi cinesi nel segnalare l’epidemia di coronavirus, sia per la decisione britannica di tagliare fuori il colosso cinese Huawei dalla nuova rete 5G, sia infine per la repressione del movimento pro-democrazia nell’ex colonia britannica di Hong Kong.
Decine di attivisti sono stati arrestati e incarcerati di recente a Hong Kong in seguito all’approvazione della draconiana legge sulla sicurezza, a lungo osteggiata da Londra. In un comunicato due giorni fa il ministero degli Esteri ha ribadito che la legge «è una chiara violazione della dichiarazione congiunta sino-britannica e della formula un Paese, due sistemi ed è chiaro che viene utilizzata per soffocare il dissenso politico».
Il Governo britannico ha irritato il regime cinese offrendo a partire dal 31 gennaio visti, permessi di lavoro e un percorso preferenziale verso la cittadinanza britannica per oltre 4 milioni di residenti di Hong Kong con un passaporto britannico speciale riservato ai territori d’oltremare. La misura potrebbe portare a un boom dell’immigrazione.