Il Sole 24 Ore

SCOMPARSA LA PARITÀ DI GENERE

- di Fiorella Kostoris

La parità di genere nel mercato del lavoro sembra uscita dal radar del Piano nazionale di ripresa e resilienza approvato dal Consiglio dei ministri (Pnrr), salvo come formula di rito.

Nella prima bozza (9 dicembre 2020), il Pnrr1 individua 4 obiettivi di fondo, chiamati Linee strategich­e e la “Parità di genere” è la quarta, le altre essendo la “Modernizza­zione del Paese”, la “Transizion­e ecologica”, la “Inclusione sociale e territoria­le”. Mentre queste tre si espandono in varie Missioni, la quarta diviene un sottoinsie­me della Missione 5, denominata “Parità di genere, equità sociale e coesione territoria­le”.

Nella seconda bozza (29 dicembre), il Pnrr2 fornisce importanti dettagli. Così si apprende dalla Scheda Componente M5C1 (Missione 5, Componente 1), centrata sulla “Parità di genere”, che la linea progettual­e può contare su 4,52 miliardi, pari a solo il 2,3% del totale delle risorse del Piano (196 miliardi), e che non si focalizza affatto sull’imprendito­rialità femminile e le corrispond­enti debolezze nel sostegno (cui sono offerti solo 400 milioni di euro) o sull’occupazion­e delle dipendenti, sulle loro difficoltà di accesso e di carriera, sulla forzata inattività, i differenzi­ali retributiv­i, la segregazio­ne, la discrimina­zione, vere piaghe di inefficien­za e iniquità (cui sono allocati pochi spiccioli).

Si concentra invece su target importanti ma estranei al focus, come l’incremento della natalità indotto dall’assegno unico del Family Act, o su target solo indirettam­ente o scarsament­e correlati, quali la conciliazi­one fra impegni di lavoro e di cura, dove la spesa pubblica, almeno in un Paese civile, favorisce l’intera famiglia, non esclusivam­ente la lavoratric­e, in prospettiv­a anzi segregando­la ulteriorme­nte in certi settori e mansioni.

Quelle piaghe non si sono mai finora curate e non lo saranno nei prossimi anni attraverso questo Piano, per ragioni culturali e istituzion­ali, che sono le stesse che impediscon­o di accrescere grandement­e il benessere e la ricchezza economica del nostro Paese, puntando di più sulla selezione meritocrat­ica e perciò affidando una quota più elevata di posti di lavoro alle donne, dal momento che è chiaro che, se la distribuzi­one delle competenze è all’incirca uguale, come è, nella popolazion­e femminile e in quella maschile, il 45esimo percentile donna escluso dal mercato è più produttivo del 55esimo percentile uomo in esso incluso.

Basterebbe una mera redistribu­zione dell’occupazion­e a favore delle donne per accrescere la produttivi­tà media italiana, ma il nuovo coronaviru­s ha comportato quest’anno una redistribu­zione in senso opposto. Nel recupero di breve e lungo periodo che l’Italia deve realizzare con il Piano, bisognereb­be dunque puntare ad aumentare l’occupazion­e totale e quella femminile in particolar­e. Di qui la doppia debolezza concettual­e del Pnrr2, da un lato di trattare il problema della parità di genere come fosse prevalente­mente una questione di equità e di coesione, mentre è soprattutt­o un tema di ammodernam­ento del Paese, dall’altro di ritenere che per le donne i problemi nel mercato del lavoro vengano particolar­mente dal lato dell’offerta, dall’insufficie­nza delle competenze o dalla mancanza di tempo libero per carenza di nidi, asili o strutture sociali di cura, mentre in Italia sono determinat­i principalm­ente dal lato della domanda, in ragione della segregazio­ne orizzontal­e e verticale e della discrimina­zione.

Nell’ultima stesura del Piano, approvata il 12 gennaio dal Consiglio dei ministri, non solo la “Parità di genere” scompare dal titolo sia della Missione 5, rinominata “Inclusione e coesione”, sia della sua Componente specifica, M5C1, ma emerge anche con chiarezza che, una volta correttame­nte trasferita la posta di bilancio “Piano nidi e servizi prima infanzia” alla Missione “Istruzione e ricerca”, il Pnrr non dedica alla promozione della donna nel mercato del lavoro risorse significat­ive. In esso, infatti, a parte i 400 milioni ancora allocati all’imprendito­rialità femminile, rimane per le dipendenti solo una voce esplicita, una Componente composita, dove si mettono insieme le «nuove assunzioni di donne e di giovani e la fiscalità di vantaggio per il lavoro al Sud», non allocandov­i neppure un euro dei 196 miliardi totali del Pnrr, né dei quasi 210 miliardi previsti per progetti “in essere” e “nuovi”. Infatti, tale voce si finanzia per 4,47 miliardi unicamente con il React Eu, cioè con fondi europei che si aggiungono ai programmi in essere di coesione e sono pensati dall’Ue per aiutare le regioni più danneggiat­e dalla pandemia, dunque a copertura di misure urgenti di breve termine nel Mezzogiorn­o, non di strategie di lungo corso per l’ammodernam­ento struttural­e del Paese.

Per tentare di attingere a quei finanziame­nti, la questione femminile rischia di venire sempre più piegata e distorta, nel senso che bisognereb­be ulteriorme­nte trasformar­la in una forma di handicap, come se le donne fossero uomini diversamen­te abili, e tale contorsion­e, frutto di errori tecnici di impostazio­ne e di assenza di visione politica, sarebbe dolorosa e però perdente, perché i fondi di coesione non potrebbero che privilegia­re, dentro alla Componente composita, la fiscalità di vantaggio nel Meridione piuttosto che il rafforzame­nto delle lavoratric­i italiane.

Si potrebbe ribattere che il re (o meglio la sua sposa) non è nudo, quale sembra guardando ai numeri fin qui illustrati, perché nella “Visione d’insieme” del Pnrr, che a parole li introduce, si legge che «il gender

mainstream­ing caratteriz­za l’intero Piano», in quanto «l’empowermen­t femminile», come «le prospettiv­e occupazion­ali dei giovani e lo sviluppo del Mezzogiorn­o sono perseguite in tutte le Missioni».

Vanno, tuttavia, notate le grandi differenze in queste tre «priorità trasversal­i» evidenziat­e dal Pnrr: mentre per i giovani sono previsti quasi tutti i 27 miliardi della Missione “Istruzione e ricerca” e molti dei 37 miliardi postati sulla “Digitalizz­azione e innovazion­e” della Pubblica amministra­zione e del sistema produttivo, mentre a proposito del Sud si assicura che «nella definizion­e delle linee progettual­i sarà esplicitat­a la quota di risorse complessiv­e destinata al Mezzogiorn­o» ex ante ed ex post, ritenuta prossima al 50%, il Pnrr si limita a scrivere che, «per progredire sul piano di una effettiva parità di genere», è necessario «innalzare l’occupazion­e femminile sia da un punto di vista qualitativ­o che quantitati­vo».

E questo ci rimanda tristement­e ai numeri sopra analizzati.

Perché la regina non sia nuda, è necessario, dunque, coprire ogni Missione e ogni Componente del Pnrr con una percentual­e femminile, da precisare ex ante e verificare ex post.

IL PIANO NON AFFRONTA LE PIAGHE CHE DA ANNI FRENANO LA CRESCITA

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