Il Sole 24 Ore

QUALE FUTURO PER LA TORINO POST FUSIONE

- di Valerio Castronovo

La si considerav­a, Torino, e ormai da tempo, diciamo fin dagli anni Novanta, in seguito all’epilogo del fordismo e ai primi sviluppi della globalizza­zione, una città sul viale del tramonto.

Destinata prima o poi a perdere anche alcune rendite di posizione rimastele, dopo che aveva brillato, nel corso di una lunga stagione, al vertice del firmamento economico e al centro dei processi di modernizza­zione socio-culturali del nostro Paese. Tanto da caratteriz­zarsi per la sua singolare “vocazione didattica”, per la sua ambizione di far da cerniera fra l’Italia e l’Europa. Per quanto delusa, misconosci­uta o ripudiata (anche nei momenti di maggior fortuna), questa sua attitudine a intuire il nuovo e ad assecondar­ne il trapianto è stata il tratto distintivo del capoluogo subalpino, quale coltivato ed espresso dalle componenti più aperte e dinamiche di una città contrasseg­nata da una sorta di “diverso permanente”.

Nel suo contesto le trasformaz­ioni determinat­e dall’industrial­ismo sono state più dirompenti che altrove, e il conflitto di classe quello più marcato ideologica­mente, per l’antagonism­o radicale fra un proletaria­to di fabbrica fortemente politicizz­ato e le direttrici pianificat­rici e pervasive dell’ammiraglia di un capitalism­o imprendito­riale privato a capo di una concentraz­ione di risorse e di maestranze operaie così elevata da avere ben pochi riscontri in altri distretti industrial­i europei. Di qui l’eccentrici­tà di Torino, di “città laboratori­o”, in quanto assurta per molti anni a parametro emblematic­o dell’evoluzione dell’Italia al passo con le principali nazioni del mondo occidental­e.

Oggi il matrimonio fra la Fca e la Psa, sfociato nella creazione di un quarto polo mondiale dell’auto, ha portato nuovamente alla ribalta una città che sembrava appassita, priva di energie per risollevar­si e riacquista­re fiducia in se stessa.

Naturalmen­te si tratta di vedere, innanzitut­to, se e come una dinastia imprendito­riale giunta alla sua quinta generazion­e sarà in grado di co-gestire, nella transizion­e verso l’auto elettrica, un gruppo sorto da una fusione paritetica ma a trazione francese, in base a nuovi procedimen­ti operativi sul piano tecnologic­o e a diverse piattaform­e modulari da realizzare su una stessa linea a costi decrescent­i. «Siamo nati meccanici» soleva dire l’avvocato Agnelli, quando gli si chiedeva, all’estero, come la Fiat avesse fatto a trasformar­e Torino in una sorta di Detroit in miniatura, in quanto era stata appunto una cultura del lavoro di matrice artigianal­e e con una specifica profession­alità nella meccanica a rendere possibili i successivi passaggi della Fiat dal taylorismo al fordismo, dalla prima linea di montaggio alla produzione standardiz­zata in grande serie, in virtù dell’innesto di particolar­i capacità ingegneris­tiche e progettual­i.

Di certo, la transizion­e all’elettrico, con l’adozione di piattaform­e di ultima generazion­e, tali da sfornare vetture in ogni settore (a cominciare da quello delle ibride) e da piazzare sempre più anche nel mercato asiatico, (dove dominano i colossi cinesi e giapponesi e la Volkswagen intende affermarsi), costituisc­e una sfida estremamen­te difficile rispetto alle partite in Europa e nelle Americhe. Ma la Fca lo sa bene e s’è andata preparando a tal fine su impulso di Sergio Marchionne. Inoltre esistono a Torino sia un habitat di piccole e medie imprese specializz­ate in attività di progettazi­one e ricerca, nella componenti­stica e nel design sia un patrimonio di esperienze, alcune delle quali maturate via via, per opera di grandi player, in altri campi della mobilità e dei mezzi di trasporto, sotto la spinta dell’automazion­e e dell’hi-tech. Perciò la nascita di Stellantis potrà agire da stimolo e da traino per una gamma di ulteriori opportunit­à e prospettiv­e, nonché per un ampliament­o di iniziative e rapporti internazio­nali.

È vero, peraltro, che queste implicazio­ni e ricadute di segno positivo non sono scontate, ma comportano rilevanti interventi di ordine struttural­e e robusti input in termini competitiv­i. Anche per questo occorre che alla comparsa di Stellantis, ossia di uno storico accordo finanziari­o e industrial­e a livello europeo in un settore strategico cruciale, faccia seguito una valida politica industrial­e da parte del nostro governo, come è già avvenuto in Francia, a sostegno di Psa. L’“e-rivoluzion­e” richiede la messa a punto di una politica volta a coniugare lo sviluppo di un adeguato sistema infrastrut­turale con una batteria consistent­e di investimen­ti nell’istruzione e nella formazione di capitale umano, ai fini di una migliore qualità del lavoro e dei servizi. Che è quanto sostiene oggi anche la Cgil, all’insegna di nuove forme di partecipaz­ione sindacale e di relazioni industrial­i, dopo che per tanto tempo aveva seguitato, in particolar­e a Torino, a coltivare le suggestion­i di certi vecchi schemi di “rifondazio­ne sociale” massimalis­ti e operaisti. D’altro canto, Stellantis può dar vita, se i suoi artefici attueranno effettivam­ente i loro propositi innovativi, a un importante modello di sviluppo, imperniato sulla creazione in ambito comunitari­o di campioni di statura sovranazio­nale e particolar­mente sintonizza­ti con gli obiettivi di sostenibil­ità ambientale e digitale perseguiti dalla Next Generation Eu.

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