Cementerie, rifiuti riciclati come energia
Una sentenza del Tar Lazio dà ragione a Buzzi Unicem e Regione Emilia Romagna Autorizzati 16 impianti ma solo il 20% dell’energia viene dal riutilizzo di residui
Il Tar del Lazio dice tre cose: primo, i comitati “del no” hanno torto e la Buzzi Unicem ha ragione; secondo, nei forni di cementeria apporta un beneficio ambientale bruciare il combustibile alternativo ottenuto dalla selezione di carta, plastica e altri scarti con forte contenuto energetico al posto del tradizionale pet coke fossile, il carbone che rimane come residuo della raffinazione del petrolio; terzo principio definito dal Tar Lazio è che ha piena validità il decreto Clini del 2013 che autorizzava il cosiddetto combustibile solido secondario.
La vicenda era nata quasi otto anni fa al ministero dell’Ambiente, quando l’allora ministro Corrado Clini aveva emanato un decreto che recepiva le regole europee per il combustibile non fossile ricavato dalla selezione dei materiali di scarto a maggiore valore energetico.
Il decreto allineava i cementifici e le centrali elettriche al resto dell’Europa più civile, come Germania e Austria: con regole severissime sulle emissioni, pari a quelle degli inceneritori di rifiuti, usare al posto di carbone o pet coke una selezione di scarti combustibili alleggerisce il problema dei rifiuti, è una forma di ricupero ma soprattutto riduce le emissioni delle ciminiere di centrali elettriche a carbone e cementerie.
Sono 16 oggi in Italia i cementifici autorizzati a usare questo materiale in sostituzione dei combustibili convenzionali, dal Piemonte alla Sicilia, con le regole sulle emissioni imposte agli inceneritori di rifiuti. E tutte le cementerie si sono scontrate con le paure di chi vive attorno a quegli impianti.
Luogo, Vernasca. Fra le colline della val d’Arda, alle spalle di Piacenza. Il cementificio Buzzi Unicem aveva chiesto e ottenuto l’autorizzazione ambientale integrata e la Via per usare il combustibile solido secondario denominato Carbonext. Quasi 200 abitanti della zona, insieme alla Legambiente, avevano fatto ricorso al Tar del Lazio contro l’autorizzazione concessa dalla Regione Emilia Romagna in base al contestato decreto del 2013.
La sentenza del Tar
Il 7 gennaio, sentenza numero 219, il Tar Lazio ha respinto il ricorso. Ha detto che il principio di precauzione (cioè vietare perché non si sa mai) deve basarsi su un’effettiva incertezza scientifica sugli effetti di un’azione, e non su una generica paura emotiva.
In secondo luogo è stata assodata la piena legittimità sostanziale del decreto Clini, riconoscendo che esso si colloca nel quadro più generale delle politiche europee per la creazione e promozione dell’economia circolare, uno dei pilastri della politica ambientale europea.
La pronuncia del Tar costituisce, dunque, un avallo e un impulso al recupero dei rifiuti per la creazione di veri combustibili che cessano di essere rifiuti (“end of waste”).
Dicono gli avvocati Claudio Vivani ed Elisabetta Sordini (Merani Vivani e Associati), i quali hanno assistito la Buzzi Unicem: «La sentenza ha una notevole portata sistematica e favorirà concretamente l'economia circolare perché promuoverà il recupero dei rifiuti invece del loro smaltimento e consentirà di ridurre l'utilizzo dei combustibili fossili».
Secondo i comitati di opposizione «l’uso del Carbonext, combustibile ottenuto da rifiuti, implicherebbe severi rischi per la salute umana». Inoltre, temono che il via libera della Regione avrebbe autorizzato anche l’impiego di altri combustibili solidi secondari.
I comitati si appellano
I comitati dell’alta Valdarda e la Legambiente pensano di appellarsi al Consiglio di Stato per fare ricorso contro la sentenza del Tar del Lazio.
Secondo molti abitanti della zona di Vernasca potrà continuare a bruciare combustibili «ottenuti da rifiuti, sia urbani che speciali, alla stregua di altri combustibili, ovvero senza essere soggetto alle norme e regolamenti sull’incenerimento dei rifiuti».
Chi usa il combustibile da rifiuti
Bisogna allargare la scala di osservazione. Due mesi fa la Federbeton aveva presentato, attraverso il presidente Roberto Callieri e il vicepresidente Antonio Buzzi, un rapporto di sostenibilità da cui emergeva che in Italia i cementifici usano circa 420mila tonnellate l’anno di combustibili di recupero utilizzati in sostituzione di quelli fossili con un tasso di sostituzione calorica pari al 20,3% (la media dei Paesi europei è 47% di sostituzione calorica); le cementerie italiane sono già attrezzati per sostenere un tasso pari almeno al 50% allineato con gli impianti europei.
Per questo motivo la Federbeton sollecitava semplificazioni all’uso di combustibili solidi secondari e una campagna di sensibilizzazione che informi i cittadini sulla sicurezza di questi prodotti energetici.
Secondo Pino Dalena, imprenditore pugliese che produce combustibile solido secondario, «indicativamente ogni tonnellata impiegata corrisponde a 0,7 tonnellate di CO2 evitata».